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Il
ministro degli Esteri russo in tour in Egitto, Congo, Etiopia e Uganda. E agli
africani dice: “La crisi del grano non è colpa di Mosca”.
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Il
ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov vola in Africa per un tour che
attraverserà Egitto, Etiopia, Uganda e Repubblica del Congo. Obiettivo di
Lavrov è persuadere i paesi del continente – fortemente dipendenti dalle
importazioni di
grano da Russia e Ucraina – che il blocco dei container nei porti ucraini non sia responsabilità del Cremlino ma
dell’Europa e del governo di Kiev. La ‘campagna africana’ di Lavrov è un’iniziativa
diplomatica estremamente rilevante ai fini del conflitto: finora infatti numerosi
paesi del continente si sono mantenuti ‘equidistanti’ tra Russia e Occidente,
di cui non hanno condiviso le sanzioni,
mentre molti non hanno votato la
risoluzione Onu di condanna per l’invasione dell’Ucraina. Ciononostante l’Africa è particolarmente
colpita dall’inflazione alimentare determinata dal conflitto, come pure
dall'aumento dei prezzi di gas e petrolio. Ed è in questo clima che oggi la
Tunisia – teatro nei giorni scorsi di disordini e proteste – vota un
referendum costituzionale che costituisce uno spartiacque nel suo
travagliato percorso democratico. A pochi giorni dalla missione del presidente
Vladimir Putin in Iran, dove oltre a
Ebrahim Reisi ha incontrato anche l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan, la visita di Lavrov
sembra anche voler ribadire che la
Russia non è isolata sulla scena internazionale. Ieri, al termine
dell’incontro con il presidente egiziano Abdelfattah al Sisi e con il
segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, il ministro ha esortato
il mondo arabo a sostenere la Russia “contro i
tentativi palesi degli Stati Uniti e dei loro satelliti europei di prendere il
sopravvento e di imporre un ordine mondiale unipolare”. Non è detto che in
paesi in cui il sentimento antiamericano è forte (corroborato dall’invasione in
Afghanistan e Iraq e dal sostegno storico a Israele) i suoi argomenti non
facciano presa.
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“Le speculazioni della propaganda occidentale
e ucraina secondo cui la Russia starebbe ‘esportando la fame’ sono
assolutamente infondate”: è un virgolettato tratto da una lettera scritta da
Sergei Lavrov e pubblicata sui giornali dei quattro paesi africani in cui il ministro è in visita in questi
giorni. Circa il 40% delle importazioni di grano in Africa provengono da Russia
e Ucraina: un dato che da solo basta a dare la misura della drammatica crisi alimentare che il
blocco del Mar Nero rischia di innescare. Ma sul tema, il ministro degli Esteri russo prova a
dissimulare le responsabilità russe e a rassicurare, garantendo che l'accordo siglato con la mediazione turca e dell'Onu sulla ripresa delle
esportazioni di grano dall'Ucraina sarà rispettato. Il riferimento è all’intesa firmata nei giorni scorsi da Russia,
Ucraina e Onu ad Istanbul, con la mediazione di Erdogan che dovrebbe consentire
la consegna di 25 milioni di tonnellate
di frumento sui mercati. Anche se, a neanche 24 ore dal raggiungimento
dell’accordo, il bombardamento del porto
di Odessa da parte di Mosca ha gelato le attese. “Non
importa cosa dica o prometta, Mosca troverà il modo di non attuare l’intesa e
quanto accaduto oggi a Odessa lo dimostra”, ha commentato il presidente ucraino
Volodymyr Zelensky in un video su Telegram.
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L'approfondimento di oggi:
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Al
termine del suo intervento alla Lega Araba, il ministro degli esteri russo ha invece
elogiato i paesi africani per le loro posizioni “indipendenti” riguardo al
conflitto. E ha aggiunto: “Vi sosterremo a completare il processo di decolonizzazione”. Ma è chiaro che in gran parte del
continente c'è una forte riluttanza a prendere posizione sulla guerra e,
soprattutto, tra i due blocchi che si fronteggiano: Russia e Occidente. Dall'invasione dell'Ucraina a febbraio, i
governi africani e del Medio Oriente si sono trovati in mezzo a due
fuochi. Spinti dall'Occidente a
condannare l'invasione, molti governi cercano anche di preservare legami con la Russia
che in alcuni casi è il primo esportatore di armi e con cui molte economie
hanno rapporti consolidati. Non vedendo alcun vantaggio nell'alienarsi una
delle parti, alcuni hanno semplicemente
cercato di non schierarsi nel conflitto. Come se non bastasse – osserva Bbc – il ricordo della Guerra fredda
“è ancora vivo in Africa, dove la logica dei blocchi ha alimentato conflitti e
arrestato lo sviluppo”. In questo momento, il costo vertiginoso di cibo e
carburante preoccupa molti osservatori e anche diversi leader, consapevoli che l’inflazione
galoppante rischia di trasformarsi in instabilità
politica. Non bisogna tornare alla Guerra fredda per convincersene: appena 11 anni fa, fu proprio l’esplosione dei
prezzi dei beni alimentari la scintilla che fece divampare le cosiddette “Primavere
arabe”.
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Non vi chiediamo di scegliere?
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Se Mosca
tesse la sua tela diplomatica nel continente, nel timore che la crisi
alimentare possa trasformare l’equilibrio africano in ostilità verso Mosca, Europa e soprattutto Stati Uniti non stanno a guardare. Dal 25 al 28
luglio, il presidente francese Emmanuel Macron sarà in visita in Camerun, Benin
e Guinea-Bissau, mentre il presidente americano Joe Biden ha annunciato un vertice con i leader
africani a Washington dal 13
al 15 dicembre. La riunione servirà a discutere dei problemi del continente,
come la sicurezza alimentare e la resilienza climatica, ma non solo: Biden ha
detto infatti che l’evento permetterà di dimostrare “l’impegno duraturo degli
Stati Uniti nei confronti dell’Africa”. Il vertice – fa però notare Al Jazeera – arriverà alla fine di un
anno in cui Biden si è concentrato prevalentemente in altre regioni del mondo
come Asia, Europa e Medio Oriente, mentre dall’inizio del suo mandato il
presidente deve ancora recarsi in Africa.
Dalla Casa Bianca smentiscono comunque che il summit costituisca una ‘risposta’
alla presenza crescente di Russia e Cina nel continente. L'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale ha
annunciato che fornirà quasi 1,3 miliardi di dollari
di aiuti alle nazioni del Corno d'Africa di Etiopia, Kenya e
Somalia colpite dalla siccità. “Riteniamo che gli Stati Uniti offrano un modello migliore – ha commentato un
funzionario a Reuters – ma noi non chiediamo ai nostri partner africani di
scegliere”.
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