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15 giugno 2022

BIDEN ALLA CORTE DI BIN SALMAN

Prossima visita di Joe Biden in Medio Oriente: oltre a Israele e Palestina, il presidente Usa andrà in Arabia Saudita, che aveva definito “un pariah”.

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La Casa Bianca ha reso note le date del viaggio di Joe Biden in Medio Oriente. La prima visita del presidente americano nella regione si terrà dal 13 al 16 luglio e comprenderà tappe in Israele, in Palestina e in Arabia Saudita. Non è un viaggio qualunque, quello del presidente americano che in passato aveva più volte criticato gli insediamenti israeliani a scapito dei palestinesi e che riguardo all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi aveva detto, durante la campagna elettorale, chei sauditi devono essere trattati come i pariah che sono”. Era il 2019 ma il mondo era diverso. La guerra in Ucraina e, soprattutto, la guerra del gas da parte di Mosca hanno imposto un cambio di rotta: a Washington sono convinti che in questo momento, con l’aumento dei prezzi degli idrocarburi, il regime di sanzioni e il taglio delle forniture da parte russa, non convenga inimicarsi la casa regnante saudita. Così Biden entrerà nella storia come il primo presidente degli Stati Uniti a volare direttamente in Arabia Saudita da Israele, un percorso raramente consentito da Riyadh, che – sebbene un progressivo avvicinamento e una non dichiarata collaborazione nei settori di intelligence e sicurezza – tuttora non ha relazioni diplomatiche con lo stato ebraico. L’annuncio del tour ha sollevato numerose polemiche e 13 organizzazioni per i diritti umani hanno rivolto un appello al presidente, denunciando che l’incontro con il principe Mohammed bin Salman fornirebbe all’erede al trono saudita legittimità e prestigio nonostante le gravi violazioni in atto all’interno del paese.

Pariah o non pariah?

La sorte, si sa, sa essere ironica. E così il viaggio del presidente americano, che aveva promesso di “riportare i diritti umani in cima all’agenda statunitense”, avverrà a un anno esatto dalle conclusioni delle indagini dei servizi di intelligence sull’omicidio Kashoggi. Conclusioni che confermavano che il principe Mohammed Bin Salman, leader de facto della monarchia saudita, ordinò, approvò e coprì il sequestro e il brutale omicidio del giornalista saudita Jamal Kashoggi mentre questi si trovava nell’ambasciata saudita di Istanbul nel 2018. La visita rappresenta un’eclatante inversione a ‘U’ nelle relazioni con Riyadh da parte del presidente che aveva promesso in campagna elettorale di fare dell’Arabia Saudita “un pariah”, al punto che più di un commentatore oggi sulla stampa americana descrive quello che agli occhi di molti appare come “un tradimento”. La détente è nell’aria anche a Capitol Hill, e diversi rappresentanti democratici sostengono che isolare l'Arabia Saudita in un momento in cui potrebbe servire gli interessi degli Stati Uniti e globali sarebbe un errore. Anche il senatore repubblicano Lindsey Graham infuriato dopo un briefing in cui aveva coniato l’espressione “sega fumante” in riferimento alle responsabilità del principe ereditario nell’omicidio, si è detto disposto a dare a Biden “lo spazio di cui ha bisogno”, e ha aggiunto: “Deve sollevare la questione delle violazioni dei diritti umani. Ma l'Arabia Saudita è ancora un alleato”.

Retromarcia sui diritti umani?

Quella saudita non sarà l’unica tappa sensibile del viaggio presidenziale. In Israele Biden terrà colloqui con il primo ministro Naftali Bennett, un nazionalista di destra che sostiene la costruzione di insediamenti nella Cisgiordania occupata. Una costruzione illegale secondo il diritto internazionale e a cui l'amministrazione democratica ha più volte detto di “opporsi fermamente”. Inoltre il viaggio avviene ad appena un mese di distanza dall’omicidio di Shireen abu Akleh, nota giornalista dell’emittente araba Al Jazeera, uccisa durante un’azione militare israeliana mentre indossava il giubbotto “press”. Testimoni oculari hanno riferito che la reporter palestinese sarebbe stata colpita da un cecchino israeliano mentre intorno non c’erano combattimenti. In Cisgiordania Biden incontrerà anche il suo omologo palestinese, Mahmoud Abbas, a cui rinnoverà l’impegno per una soluzione dei due stati. Se dopo i quattro terribili anni di Donald Trump, e con l’arrivo dei democratici alla Casa Bianca i palestinesi hanno tirato un sospiro di sollievo, non sono mancate cocenti delusioni. Come quella per la mancata riapertura del consolato statunitense a Gerusalemme, che consideravano di fatto un'ambasciata, chiuso da Trump nel 2018. Infine, da più parti si continua a spingere affinché anche l’Arabia Saudita entri a far parte degli ‘Accordi di Abramo’, ovvero il piano per la ‘normalizzazione’ delle relazioni tra Tel Aviv e le capitali arabe, da cui i palestinesi hanno molto da perdere e poco da guadagnare.

   

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...O un'opportunità da cogliere?

Negli ultimi anni la relazione tra Stati Uniti e le monarchie del Golfo – storicamente costruita sull’equilibrio ‘energia in cambio di sicurezza’ – è stata messa a dura prova da una serie di questioni. L’accordo prima (Jcpoa) e i colloqui sul nucleare iraniano poi, la guerra in Yemen, le relazioni delle potenze regionali con i rivali statunitensi Russia e Cina, le continue violazioni dei diritti umani, la resistenza alle riforme sociali e l'impegno ondivago degli Stati Uniti in Medio Oriente. Per questo – osserva Politico – la visita di Joe Biden in Medio Oriente il mese prossimo “offre un'opportunità sorprendente, se entrambe le parti la coglieranno”. Per Washington la priorità è scoraggiare le ambizioni russe e cinesi nella regione. Per le petrol-monarchie, proteggersi da minacce esterne come l’Iran, e garantire che la presenza americana nella regione incoraggi gli investimenti e crei posti di lavoro che preparino il terreno per un’economia post-petrolifera. Il cambiamento, a ben guardare, è già iniziato, un passo alla volta. Biden ha elogiato la “coraggiosa leadership” del regno per la firma della tregua in Yemen e, lo stesso giorno, l'OPEC+ ha annunciato un aumento della produzione di greggio. La guerra in Ucraina ha accelerato le cose: “Qui non si tratta di diritti umani contro petrolio”, spiega il deputato Tom Malinowski. “Si tratta di qual è il modo migliore per gli Stati Uniti di garantire che i paesi partner, che dipendono dalla nostra sicurezza, siano al nostro fianco in questo contesto cruciale e facciano la loro parte nel garantire che Putin fallisca”.

SPECIALE UCRAINA

GLI ULTIMI SVILUPPI

  • Il colosso russo dell’energia Gazprom annuncia una riduzione del 15% dei flussi di gas verso l'Italia. Nuovo taglio anche alla Germania.
  • In un colloquio telefonico con il suo omologo russo Vladimir Putin, il presidente cinese Xi Jinping ha osservato che in Ucraina “serve una soluzione responsabile” per cui “tutte le parti dovrebbero adoperarsi”.
  • Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha ribadito che il paese non dispone di una quantità sufficiente di moderni sistemi antimissile e che procrastinarne l'invio “non può essere giustificato”.
  • Ikea venderà le sue quattro fabbriche in Russia, lasciando in pausa le sue attività di vendita al dettaglio nel paese. Lo annuncia la società in una nota. 

   

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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