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BIDEN ALLA CORTE DI BIN SALMAN
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Prossima
visita di Joe Biden in Medio Oriente: oltre a Israele e Palestina, il
presidente Usa andrà in Arabia Saudita, che aveva definito “un pariah”.
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La
Casa Bianca ha reso note le date del viaggio di Joe Biden in Medio Oriente. La
prima visita del presidente americano nella regione si terrà dal 13 al 16 luglio
e comprenderà tappe in Israele, in Palestina e in Arabia Saudita. Non è un viaggio qualunque, quello del
presidente americano che in passato aveva più volte criticato gli insediamenti
israeliani a scapito dei palestinesi e che riguardo all’omicidio del
giornalista Jamal Khashoggi aveva detto, durante la campagna elettorale, che “i
sauditi devono essere trattati come i pariah che sono”. Era il 2019 ma il
mondo era diverso. La guerra in Ucraina e, soprattutto, la guerra del gas da
parte di Mosca hanno imposto un cambio
di rotta: a Washington sono convinti che in questo momento, con l’aumento
dei prezzi degli idrocarburi, il regime di sanzioni e il taglio delle forniture
da parte russa, non convenga inimicarsi
la casa regnante saudita. Così Biden entrerà nella storia come il primo presidente
degli Stati Uniti a volare direttamente
in Arabia Saudita da Israele, un percorso raramente consentito da Riyadh,
che – sebbene un progressivo avvicinamento e una non dichiarata collaborazione
nei settori di intelligence e sicurezza – tuttora non ha relazioni diplomatiche
con lo stato ebraico. L’annuncio del tour ha sollevato numerose polemiche e 13
organizzazioni per i diritti umani hanno rivolto un appello al presidente,
denunciando che l’incontro con il principe Mohammed bin Salman fornirebbe
all’erede al trono saudita legittimità e
prestigio nonostante le gravi violazioni in atto all’interno del paese.
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La sorte, si sa, sa essere ironica. E così il
viaggio del presidente americano, che aveva promesso di “riportare i diritti
umani in cima all’agenda statunitense”, avverrà a un anno esatto dalle
conclusioni delle indagini dei servizi di intelligence sull’omicidio Kashoggi.
Conclusioni che confermavano che il principe Mohammed Bin Salman, leader de
facto della monarchia saudita, ordinò,
approvò e coprì il sequestro e il brutale omicidio del giornalista saudita
Jamal Kashoggi mentre questi si trovava nell’ambasciata saudita di Istanbul nel
2018. La visita rappresenta un’eclatante inversione a ‘U’ nelle relazioni con
Riyadh da parte del presidente che aveva promesso in campagna elettorale di
fare dell’Arabia Saudita “un pariah”, al punto che più di un commentatore oggi
sulla stampa americana descrive quello che agli
occhi di molti appare come “un tradimento”. La détente è nell’aria anche a Capitol Hill, e diversi rappresentanti
democratici sostengono che isolare l'Arabia Saudita in un momento in cui
potrebbe servire gli interessi degli Stati Uniti e globali sarebbe un errore.
Anche il senatore repubblicano Lindsey Graham infuriato dopo un briefing in cui
aveva coniato l’espressione “sega
fumante” in riferimento alle responsabilità del principe ereditario
nell’omicidio, si è detto disposto a dare a Biden “lo spazio di cui ha
bisogno”, e ha aggiunto: “Deve sollevare la questione delle violazioni dei
diritti umani. Ma l'Arabia Saudita è ancora un alleato”.
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Retromarcia sui diritti umani?
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Quella
saudita non sarà l’unica tappa sensibile
del viaggio presidenziale. In Israele Biden terrà colloqui con il primo
ministro Naftali Bennett, un nazionalista di destra che sostiene la costruzione
di insediamenti nella Cisgiordania occupata. Una costruzione illegale secondo il diritto internazionale e a cui
l'amministrazione democratica ha più volte detto di “opporsi fermamente”.
Inoltre il viaggio avviene ad appena un mese di distanza dall’omicidio
di Shireen abu Akleh, nota giornalista dell’emittente araba Al Jazeera,
uccisa durante un’azione militare israeliana mentre indossava il giubbotto
“press”. Testimoni oculari hanno riferito che la reporter palestinese sarebbe
stata colpita da un cecchino israeliano
mentre intorno non c’erano combattimenti. In Cisgiordania Biden incontrerà
anche il suo omologo palestinese, Mahmoud Abbas, a cui rinnoverà l’impegno per una soluzione dei due stati. Se
dopo i quattro terribili anni di Donald Trump, e con l’arrivo dei democratici
alla Casa Bianca i palestinesi hanno tirato un sospiro di sollievo, non sono
mancate cocenti delusioni. Come quella per la mancata riapertura del consolato
statunitense a Gerusalemme, che consideravano di fatto un'ambasciata, chiuso da
Trump nel 2018. Infine, da più parti si continua a spingere affinché anche
l’Arabia Saudita entri a far parte degli ‘Accordi di Abramo’, ovvero il
piano per la ‘normalizzazione’ delle relazioni tra Tel Aviv e le capitali
arabe, da cui i palestinesi hanno molto da perdere e poco da guadagnare.
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...O un'opportunità da cogliere?
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Negli
ultimi anni la relazione tra Stati Uniti e le monarchie del Golfo – storicamente
costruita sull’equilibrio ‘energia in cambio di sicurezza’ – è stata messa a dura prova da una serie
di questioni. L’accordo prima (Jcpoa) e i colloqui sul nucleare iraniano poi,
la guerra in Yemen, le relazioni delle potenze regionali con i rivali
statunitensi Russia e Cina, le continue violazioni dei diritti umani, la
resistenza alle riforme sociali e l'impegno ondivago degli Stati Uniti in Medio
Oriente. Per questo – osserva
Politico – la visita di Joe Biden in Medio Oriente il mese prossimo “offre un'opportunità sorprendente, se
entrambe le parti la coglieranno”. Per Washington la priorità è scoraggiare
le ambizioni russe e cinesi nella regione. Per le petrol-monarchie, proteggersi
da minacce esterne come l’Iran, e garantire che la presenza americana nella regione
incoraggi gli investimenti e crei posti di lavoro che preparino il terreno per
un’economia post-petrolifera. Il cambiamento, a ben guardare, è già iniziato, un passo alla volta. Biden ha elogiato
la “coraggiosa leadership” del regno per la firma della tregua in Yemen e, lo
stesso giorno, l'OPEC+ ha annunciato un aumento della produzione di greggio. La
guerra in Ucraina ha accelerato le cose: “Qui non si tratta di diritti umani
contro petrolio”, spiega
il deputato Tom Malinowski. “Si tratta di qual è il modo migliore per gli
Stati Uniti di garantire che i paesi partner, che dipendono dalla nostra
sicurezza, siano al nostro fianco in questo contesto cruciale e facciano la
loro parte nel garantire che Putin fallisca”.
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- Il colosso russo dell’energia Gazprom annuncia
una
riduzione del 15% dei flussi di gas verso l'Italia. Nuovo taglio anche alla
Germania.
- In un colloquio telefonico con il suo omologo
russo Vladimir Putin, il
presidente cinese Xi Jinping ha osservato che in Ucraina “serve una
soluzione responsabile” per cui “tutte le parti dovrebbero adoperarsi”.
- Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha
ribadito che il paese non dispone di una quantità sufficiente di moderni
sistemi antimissile e che procrastinarne l'invio “non può essere
giustificato”.
- Ikea venderà le sue quattro fabbriche in Russia,
lasciando in pausa le sue attività di vendita al dettaglio nel paese. Lo annuncia
la società in
una nota.
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