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18 maggio 2022

TUNISIA: IL PANE E I GELSOMINI

La Tunisia tra crisi alimentare e instabilità politica. Ma senza il grano dall’Ucraina a rischio diversi paesi del Nord Africa.

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In Tunisia le baguettes a prezzo sovvenzionato sono cominciate a sparire dagli scaffali delle panetterie poco prima dell’inizio del Ramadan, racconta Le Monde. È stato allora che le tensioni sociali nel paese nordafricano hanno cominciato a ribollire. Fortemente dipendente dalle importazioni di grano e cereali, e già alle prese con una crisi politico-economica che si trascina dallo scorso luglio, sulla Tunisia aleggia lo spettro della crisi alimentare e gli osservatori temono una riedizione delle rivolte del pane che nel 2011 innescarono l’inizio della cosiddetta Primavera Araba. L’agricoltura tunisina soffre di “problemi cronici”: una bassa produttività media di (11-15 quintali per ettaro contro i 70 circa dell'Europa) e negli anni l’erosione del suolo e la salinizzazione hanno causato la perdita di 300.000 ettari di colture. Oggi poi, con l’aumento dei costi, i prezzi calmierati dello stato, che ha il monopolio sull'acquisto di prodotti a base di cereali, scoraggiano gli agricoltori. Se le cause dell’instabilità sono annose e molteplici, però, la guerra in Ucraina rischia di fare da detonatore: “Produciamo appena la metà del nostro fabbisogno di grano. E dal 45 al 50% delle nostre importazioni proviene dall'Ucraina”, spiega Karim Daoud, presidente del sindacato agricolo Synagri. Con il blocco dell’export dai porti del Mar Nero, dunque, l’effetto domino è inevitabile: più il conflitto si protrarrà più le sue conseguenze rischiano di diventare insostenibili per le economie più fragili, anche a migliaia di chilometri di distanza.

Sovvenzioni: un circolo vizioso?

Dagli anni ’70 in Tunisia la Cassa generale di compensazione fissa i prezzi di alcuni generi alimentari per sostenere il potere d'acquisto dei tunisini, in particolare quelli delle classi più svantaggiate. Creato per compensare l’impennata dei prezzi sui mercati mondiali, il sistema è entrato gradualmente in un “circolo vizioso”, spiega l'economista Hachemi Alaya: “La Cassa avrebbe dovuto sfruttare le entrate statali quando i prezzi scendevano sui mercati internazionali per compensare l’aumento in altri periodi”. Ma la volatilità dei prezzi e la dipendenza dalle importazioni hanno mandato in tilt il sistema col risultato che lo stato anticipa denaro senza poi riuscire a recuperarlo. Oggi la ‘Caisse’ è uno dei buchi neri del bilancio dello Stato tunisino, già fortemente indebitato. Secondo le previsioni della legge finanziaria 2022, la spesa per le sovvenzioni dei beni di prima necessità si aggira intorno ai 2 miliardi di euro, pari a circa il 6% del Pil. E queste stime non tengono conto dell'impatto della guerra, scoppiata dopo l’entrata in vigore della legge. Ad aumentare infatti, non sono solo i prezzi del grano e dei cereali, ma anche quelli dell’energia, dei fertilizzanti e dei mangimi animali. Così dopo le vibrate proteste da parte degli allevatori, i cui costi di produzione si sono improvvisamente impennati, il governo è stato costretto ad annunciare anche l’aumento dei prezzi di uova, latte e pollame.

Una crisi tira l'altra?

Le difficoltà di approvvigionamento e l’aumento dei prezzi si inseriscono in un contesto politico instabile in cui le proteste di piazza si susseguono: l’ultima si è svolta domenica, quando migliaia di persone sono scese per strada per invocare il ritorno alla regola democratica e contestare la decisione del presidente Kais Saied di destituire la Commissione elettorale nazionale per nominarne una personalmente. Il deragliamento delle istituzioni tunisine era cominciato lo scorso 25 luglio, quando il presidente aveva di fatto sospeso il parlamento e destituito l’allora primo ministro Hishem Mechichi. A dicembre 2021 Saied ha poi annunciato un referendum costituzionale per una nuova legge fondamentale che dovrebbe sostituire quella del 2014, mentre a inizio febbraio 2022 ha deciso di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura, concentrando su di sé anche il potere giudiziario. E mentre nel paese lo spazio per l’opposizione politica si riduce sempre di più, l’opinione pubblica è spaccata tra chi sostiene il presidente, anche alla luce dell’inadeguatezza e corruzione dell’intera classe politica, e chi grida al golpe, denuncia una deriva autoritaria e le violazioni dello stato di diritto.

   

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Affamati dalla guerra in Ucraina?

Nella spirale tunisina, la guerra in Ucraina ha fatto da acceleratore: nonostante sia il primo paese al mondo per consumo di pane, infatti, solo una baguette su cinque in Tunisia è prodotta con grano locale. La maggior parte è importato dall’Ucraina e dalla Russia. E con i container bloccati nei porti di Mariupol e di Odessa, in Tunisia non si trova più neanche la semola per il cous cous. Un problema condiviso soprattutto con altri paesi del Nordafrica e Medio Oriente: secondo il Think Tank Arab Reform Initiative, i paesi arabi Libano, Tunisia, Giordania, Sudan e Marocco, consumano qualcosa come 128 kg di grano pro capite l’anno, mentre il resto del mondo ne consuma in totale solo 65 pro capite. E a complicare ulteriormente le cose, in un momento in cui la Tunisia è impegnata a negoziare un prestito con il Fondo monetario internazionale, il clima da blocchi contrapposti sullo scacchiere internazionale. Appena pochi giorni dopo aver votato a favore della risoluzione di condanna per l’invasione ucraina all’Onu, il ministro degli Esteri tunisino Othman Jerandi ha accolto il nuovo ambasciatore russo nel paese sottolineando l'importanza delle relazioni bilaterali tra i due paesi e il desiderio della Tunisia di rafforzare quelle relazioni. Non esattamente il tipo di atteggiamento apprezzato in Occidente e negli Stati Uniti. “Il governo di Saied dovrebbe considerare attentamente quale prezzo è disposto a pagare pur di compiacere la Russia – osserva Sara Yerks analista di Carnegie – In un momento così delicato, potrebbe rivelarsi un costo che il paese non può sopportare”.

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