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TUNISIA: IL PANE E I GELSOMINI
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La Tunisia tra crisi alimentare e instabilità politica. Ma senza il grano dall’Ucraina a rischio diversi paesi del Nord Africa.
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In Tunisia le baguettes a
prezzo sovvenzionato sono cominciate a sparire dagli scaffali delle panetterie
poco prima dell’inizio del Ramadan, racconta Le Monde. È stato allora che le tensioni sociali nel paese
nordafricano hanno cominciato a ribollire. Fortemente dipendente dalle
importazioni di grano e cereali, e già alle prese con una crisi politico-economica
che si trascina dallo scorso
luglio, sulla Tunisia aleggia lo spettro della crisi alimentare e gli
osservatori temono una riedizione delle rivolte del pane che nel 2011
innescarono l’inizio della cosiddetta Primavera Araba. L’agricoltura tunisina
soffre di “problemi cronici”: una bassa produttività media di (11-15 quintali
per ettaro contro i 70 circa dell'Europa) e negli anni l’erosione del suolo e
la salinizzazione hanno causato la perdita di 300.000 ettari di colture. Oggi
poi, con l’aumento dei costi, i prezzi calmierati dello stato, che ha il monopolio sull'acquisto di prodotti a
base di cereali, scoraggiano gli agricoltori. Se le cause dell’instabilità sono
annose e molteplici, però, la guerra in Ucraina rischia di fare da detonatore: “Produciamo appena la metà del
nostro fabbisogno di grano. E dal 45 al 50% delle nostre importazioni proviene
dall'Ucraina”, spiega Karim Daoud, presidente del sindacato agricolo Synagri. Con il
blocco dell’export dai porti del Mar Nero, dunque, l’effetto domino è
inevitabile: più il conflitto si protrarrà più le sue conseguenze rischiano di diventare
insostenibili per le economie più fragili, anche a migliaia di chilometri di
distanza.
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Sovvenzioni: un circolo vizioso?
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Dagli anni ’70 in Tunisia
la Cassa generale di compensazione fissa i prezzi di alcuni generi alimentari
per sostenere il potere d'acquisto dei tunisini, in particolare quelli delle
classi più svantaggiate. Creato per compensare l’impennata dei prezzi sui
mercati mondiali, il sistema è entrato gradualmente in un “circolo vizioso”, spiega l'economista Hachemi Alaya: “La Cassa avrebbe dovuto sfruttare le entrate
statali quando i prezzi scendevano sui mercati internazionali per compensare l’aumento
in altri periodi”. Ma la volatilità dei prezzi e la dipendenza dalle
importazioni hanno mandato in tilt il sistema col risultato che lo stato anticipa
denaro senza poi riuscire a recuperarlo. Oggi la ‘Caisse’ è uno dei buchi neri del bilancio dello Stato
tunisino, già fortemente indebitato. Secondo le previsioni della legge finanziaria 2022,
la spesa per le sovvenzioni dei beni di prima necessità si aggira intorno ai 2
miliardi di euro, pari a circa il 6% del
Pil. E queste stime non tengono conto dell'impatto della guerra, scoppiata
dopo l’entrata in vigore della legge. Ad aumentare infatti, non sono solo i
prezzi del grano e dei cereali, ma anche quelli dell’energia, dei fertilizzanti e dei mangimi animali. Così dopo le
vibrate proteste da parte degli allevatori, i cui costi di produzione si sono
improvvisamente impennati, il governo è stato costretto ad annunciare anche l’aumento dei prezzi di uova,
latte e pollame.
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Le difficoltà di
approvvigionamento e l’aumento dei prezzi si inseriscono in un contesto
politico instabile in cui le proteste di piazza si
susseguono: l’ultima si è svolta domenica,
quando migliaia di persone sono scese per strada per invocare il ritorno alla regola democratica e contestare
la decisione del presidente Kais Saied di destituire la Commissione elettorale
nazionale per nominarne una personalmente. Il deragliamento delle istituzioni
tunisine era cominciato lo scorso 25 luglio, quando il presidente aveva di fatto
sospeso il parlamento e
destituito l’allora primo ministro Hishem Mechichi. A dicembre 2021 Saied ha poi annunciato un
referendum costituzionale per una nuova legge fondamentale che dovrebbe
sostituire quella del 2014, mentre a inizio febbraio 2022 ha deciso di
sciogliere il Consiglio superiore
della magistratura, concentrando
su di sé anche il potere giudiziario.
E mentre nel paese lo spazio per l’opposizione politica si riduce sempre di
più, l’opinione pubblica è spaccata tra chi sostiene il presidente, anche alla
luce dell’inadeguatezza e corruzione dell’intera classe politica, e chi grida
al golpe, denuncia una deriva
autoritaria e le violazioni dello stato di diritto.
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Affamati dalla guerra in Ucraina?
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Nella spirale tunisina, la
guerra in Ucraina ha fatto da acceleratore: nonostante sia il primo paese al mondo per consumo di pane, infatti, solo una
baguette su cinque in Tunisia è prodotta con grano locale. La maggior parte è
importato dall’Ucraina e dalla Russia. E con i container bloccati nei porti di
Mariupol e di Odessa, in Tunisia non si trova più neanche la semola per il cous
cous. Un problema condiviso soprattutto con altri paesi del Nordafrica e Medio
Oriente: secondo il Think Tank Arab Reform Initiative, i paesi arabi Libano, Tunisia, Giordania, Sudan e
Marocco, consumano qualcosa come 128 kg
di grano pro capite l’anno, mentre il resto del mondo ne consuma in totale
solo 65 pro capite. E a complicare ulteriormente le cose, in un momento in cui
la Tunisia è impegnata a negoziare un prestito con il Fondo monetario
internazionale, il clima da blocchi contrapposti sullo scacchiere
internazionale. Appena pochi giorni dopo aver votato a favore della risoluzione
di condanna per l’invasione ucraina all’Onu, il ministro degli Esteri tunisino
Othman Jerandi ha accolto il nuovo ambasciatore russo nel paese sottolineando
l'importanza delle relazioni bilaterali tra i due paesi e il desiderio della
Tunisia di rafforzare quelle relazioni. Non esattamente il tipo di atteggiamento
apprezzato in Occidente e negli Stati Uniti. “Il governo di Saied dovrebbe
considerare attentamente quale prezzo è disposto a pagare pur di compiacere la
Russia – osserva Sara Yerks analista
di Carnegie – In un momento così
delicato, potrebbe rivelarsi un costo che il paese non può sopportare”.
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