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10 PUNTI PER CAPIRE COME LA GUERRA HA CAMBIATO IL MONDO
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L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin è uno spartiacque. In sole due settimane ha prodotto una serie di conseguenze impensabili fino a pochi giorni prima: e non solo per le parti in causa, ma anche per il resto del mondo. Dal ricompattamento degli Stati membri dell’Unione Europea alla decisione storica della Germania di riarmarsi; da un flusso migratorio senza precedenti alla messa in discussione della transizione energetica, dalla rivitalizzazione della NATO al possibile “raffreddamento” delle relazioni tra Mosca e Pechino, questa guerra sembra essere un vero game-changer. Comunque vada a finire il conflitto, il mondo di domani potrebbe non essere più lo stesso.
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1. Dalla guerra (contro la pandemia) alla guerra (quella vera)
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Due
anni fa l’inizio della pandemia ha cambiato il volto del mondo, portando
i paesi ad adottare misure da tempi di guerra, dalla chiusura dei confini ai
lockdown; quella che è stata spesso chiamata “la guerra contro il virus” ha
portato l’Europa a uno sforzo di coordinamento e di solidarietà al suo
interno talvolta difficile, tra chiusura delle frontiere e politiche vaccinali
diverse. Mentre l’UE si abitua alla “nuova normalità”, la guerra ai suoi
confini pone ora una minaccia esistenziale che ne ha compattato la
risposta: in tempi da record, l’UE ha mobilitato aiuti militari per 500 milioni di euro,
facendo la scelta storica di usare il
budget dei paesi membri per finanziare la consegna di armi letali.
L’attenzione si sposta dalla guerra al virus alla guerra sul campo, mentre
nelle zone di maggiore flusso di rifugiati, si teme un allarme Covid-19: due
guerre diverse che hanno cambiato il volto del mondo, insieme? Nel frattempo,
la reintroduzione del Patto di Stabilità può attendere. È il caso di parlare di una nuova “variante Kiev”?
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2. Germania, Europa: aiuti militari “da 0 a 100 (miliardi)”
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Da
domenica 27 febbraio, l’UE per la prima volta nella sua storia ha iniziato a esportare armi. Non era mai
accaduto: i Trattati impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget
comunitario per motivi bellici. Ma i Ministri dell’UE hanno aggirato il
divieto attivando uno strumento esterno al budget, la European Peace Facility, che può mobilitare
fino a 5 miliardi di euro per aiuti militari. 500 milioni sono stati
immediatamente utilizzati per inviare armi sul fronte ucraino. Questa svolta
riflette l’eccezionalità per l’UE e i suoi Stati Membri della crisi ucraina,
che il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito “un momento storico per il
nostro continente”.
Proprio
la Germania ha iniziato lo scorso 26 febbraio un nuovo capitolo della
propria storia. Negli ultimi settant’anni il governo tedesco non ha mai
esportato armi verso territori di conflitto, un impegno durato fino a qualche
giorno fa: il Paese si è adesso riposizionato a livello internazionale dando sostegno militare (attraverso l’esportazione di armi) al
governo di Kiev. Su questa scia, 24 ore dopo, Berlino ha anche annunciato un
aumento della spesa militare (attualmente all’1,5% del Pil) tale da
raggiungere l’obiettivo interno alla NATO del 2% del Pil. A questo contribuirà uno stanziamento di 100 miliardi di euro per spese militari.
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3. Da Trump a Biden: se
l’Atlantico torna a restringersi
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Durante la Presidenza Trump le relazioni transatlantiche erano
giunte ai minimi termini: sia a livello
economico, a causa dei dazi imposti dagli USA sui prodotti europei, che a livello strategico-militare, con Trump
che criticava i membri europei della NATO per non spendere abbastanza per la
Difesa. Con Biden alla Casa Bianca, nel 2021 le frizioni commerciali sono
state parzialmente risolte (sia la controversia Airbus-Boeing che quella
sull’acciaio/alluminio) ed è stato lanciato un nuovo “Trade and Technology
Council”. Oggi, la guerra in Ucraina ha riavvicinato ulteriormente le due
sponde dell’Atlantico anche dal punto di vista geopolitico, con una convergenza pressoché totale sulle misure da prendere contro la Russia (vedi il coordinamento
sulle sanzioni) e in sostegno dell’Ucraina.
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“La guerra non solo non divide il fronte euro-americano, ma lo compatta come non avveniva da tempo, in nome sia di un rinnovato atlantismo sia di un europeismo pronto a estendersi rapidamente alla stessa Ucraina. Un ricompattamento che potrebbe trasformarsi anche in un evidente vantaggio strategico, anche laddove la guerra dovesse concludersi con una non vittoria russa che chiuderebbe definitamente le porte al sogno di Putin di ricostruire una nuova sfera d’influenza in Europa centro-orientale e probabilmente sancirebbe la sua fine politica.” Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po
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4. Migranti: da "aiutiamoli a casa loro" a "accogliamoli tutti"
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La guerra in Ucraina ha generato un flusso di rifugiati rapido e massiccio.
Di fronte a questo fenomeno senza precedenti, i leader europei hanno risposto
con solidarietà, aprendo i confini e facilitando le procedure di ingresso. L’UE
ha approvato l’utilizzo della Direttiva di Protezione Temporanea, che
darà alle persone provenienti dall’Ucraina (salvo alcune categorie) il diritto di essere accolti nell’UE con procedure semplificate. Questa direttiva viene usata per la prima volta
e dà ai rifugiati di guerra una protezione senza precedenti per la semplicità
delle procedure, particolarmente snelle e veloci, con accesso al sistema
educativo, al mercato del lavoro, alloggio e assistenza sociale, con un rinnovo
automatico di un anno. Questa solidarietà si differenzia rispetto alla gestione
di di “crisi migratorie” del passato, come quello del 2015 nel Mediterraneo, la
chiusura dei confini da parte dell’Ungheria, o il recente trattamento dei
migranti e richiedenti asilo al confine tra la Bielorussia con Polonia e
Lituania: si è passati da una politica di chiusura a una di benvenuto,
un’accelerazione virtuosa di fronte all’emergenza in corso, ma che ha fatto
parlare di doppio standard nel trattamento dei migranti in base ai paesi
di provenienza.
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5. Sanzioni: da armi spuntate
a un “all in”?
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Le prime sanzioni alla Russia furono imposte nel 2014, in seguito all’invasione della Crimea e al sostegno dei movimenti
separatisti nel Donbass da parte della Russia. Quelle misure, volte soprattutto
a colpire singoli individui o settori circoscritti, ebbero un’efficacia
limitata portando alla “cristallizzazione” dell’occupazione in Ucraina. Otto
anni dopo, la situazione è decisamente diversa: l’esclusione delle
principali banche russe dal circuito di pagamenti SWIFT e il blocco delle
riserve valutarie della Banca Central Russa in euro e in dollari possono davvero
colpire l’economia di Mosca (come dimostra il crollo del rublo – 29%
–
nella
sola giornata del 28 febbraio). Dopo decisioni “timide” dovute anche a visioni
divergenti tra gli Stati membri volte a tutelare i propri interessi nazionali
(va menzionata anche l’iniziale ritrosia dell’Italia e della Germania),
l’invasione dell’Ucraina ha convinto l’UE a varare in maniera compatta sanzioni
molto più pesanti. Con effetti che però si potrebbero ripercuotere anche sull’economia europea, con previsioni di crescita già riviste al ribasso.
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6. Climate change: dal net zero al "va
bene tutto purché scaldi”
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il 2020 è stato l’anno dei grandi annunci di svolta climatica dei più
importanti Paesi del mondo, con Unione Europea, Cina, Giappone e Stati Uniti
che annunciavano piani ambiziosi per arrivare alla neutralità climatica entro
la metà del secolo, la situazione all’inizio del 2022 è profondamente cambiata. L’Europa sembra riconoscere che la transizione
sarà lunga e annuncia l’inserimento del nucleare e del gas tra le fonti “green”, ma anche questo potrebbe non bastare a gestire
l’emergenza di breve-medio periodo. Nel frattempo, si parla di riapertura
di centrali a carbone, per far fronte a prezzi del gas impazziti e per
cercare di ridurre la dipendenza dalla Russia. Non è la sola: Pechino annuncia infatti la riapertura di centrali e miniere di
carbone per far fronte
all’accresciuta domanda di energia. Si apre ora e più che mai la questione: è
il momento della grande accelerazione degli investimenti in rinnovabili, o sarà
l’energia “del passato” ad assicurare la sicurezza energetica dei Paesi?
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7. NATO: da "cerebralmente morta" a "the place to be"
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8. Cina-Russia: dall’amicizia “senza limiti” all’astensione
all’Onu
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Fino al 4 febbraio le relazioni tra Cina e
Russia avevano toccato il massimo storico tanto da essere definite “senza
limiti”. Dopo 10 giorni dall’invasione si moltiplicano i segnali di un mancato
pieno supporto cinese all’invasione: l’astensione della Cina all’Onu, la
telefonata tra Wang Yi e Kuleba per la mediazione di un cessate il fuoco, il
congelamento dei prestiti a Russia e Bielorussia da parte dell’Aiib sostenuta
da cinesi. L’avanzata dell’invasione con un crescente numero di vittime civili,
l’isolamento russo e il rischio che la Cina possa essere caricata delle
responsabilità del conflitto in quanto quasi alleata della Russia sembra aver fissato
un limite, almeno parziale, alle relazioni. Che negli ultimi anni,
comunque, sono aumentate nettamente: sia dal punto di vista economico (con la Cina che oggi è saldamente il primo partner commerciale
di Mosca), che energetico: è stato infatti da poco firmato il contratto per il
raddoppio del gasdotto “Power of Siberia”.
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9. Taiwan: da "attenzione la
Cina invaderà" a "attenzione l'Occidente risponderà"
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Secondo l’Economist nell’estate 2021 Taiwan
era “il posto più pericoloso al mondo” (a causa delle mire espansionistiche
di Pechino e degli interessi degli USA nell’area) e prima delle Olimpiadi
sembrava che la Cina cercasse di capire fino a dove UE e USA si sarebbero
spinti per difendere l’Ucraina, per eventualmente agire di conseguenza con
Taiwan. La risposta è arrivata: quando serve l’Occidente c’è e nel XXI
secolo fare la guerra è ancora più difficile di prima per la resistenza delle
popolazioni locali e per l’incredibile diffusione di informazioni di ogni tipo
in tempo reale. Il disimpegno in Afghanistan era stato fatto anche per concentrarsi
sul contenimento alla Cina, una politica che non può prescindere dalla difesa
di Taiwan. Allo stato attuale Pechino sembra molto meno desiderosa di impegnarsi nell’invasione
di Taiwan: un’impresa che, se fallimentare, potrebbe danneggiare la corsa di Xi
verso la riconferma al XX Congresso del Pcc del prossimo autunno. Le
ricognizioni aeree sembrano solo “normale amministrazione” senza costituire un pericolo
reale, anche perché la reazione di Taiwan e del resto del mondo sarà di elevare l’allerta aumentando le
difficoltà per un ipotetico attacco cinese.
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10. Valute: dal
dollaro al bitcoin?
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Nei mercati emergenti caratterizzati da
volatilità finanziaria, detenere valuta straniera considerata più
“forte” (soprattutto dollari, ma anche euro) è considerato il migliore modo per
proteggere i propri risparmi ricorrendo a beni cosiddetti “rifugio”. Questo era
vero anche in Russia fino a pochi giorni fa, ovvero prima che entrassero in
vigore le sanzioni economiche che hanno fatto crollare a picco il valore del rublo
e reso quasi impossibile accedere a valuta straniera (da qui la corsa agli
sportelli bancari dei giorni scorsi). A causa del difficoltoso accesso ai
canali “tradizionali” dei mercati finanziari internazionali, in Russia (ma
anche in Ucraina) ha ripreso vigore il ricorso al Bitcoin come nuovo bene
rifugio. Tanto che si sta cominciando a parlare dei bitcoin (e degli altri cryptoassets)
come “valute di guerra”.
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ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale
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