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6 MAPPE PER CAPIRE IL CONFLITTO IN UCRAINA

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La crisi tra Russia e Ucraina non è scoppiata all’improvviso, ma è il risultato di un contrasto che dura apertamente da quasi otto anni: ovvero da quando nel 2014, dopo la Rivoluzione di Euromaidan culminata con la cacciata dell’allora presidente Viktor Janukovyč, Mosca ha invaso la penisola di Crimea e sostenuto i movimenti separatisti nella regione del Donbass, in Ucraina orientale. Dal canto loro, Europa e Stati Uniti non possono stare a guardare: l’Ucraina si trova ai confini con l’UE e con la NATO (di cui la Russia teme un ulteriore allargamento a Est), ed è un punto di passaggio cruciale per la fornitura di gas proprio dalla Russia. Come si è originata la crisi russo-ucraina? Quanto è probabile un conflitto e perché? Quali sono i timori di Mosca e come potrebbe intervenire militarmente? La crisi, spiegata in 6 mappe.

     

Ucraina e Russia sono unite da legami storici. L’Ucraina è infatti considerata la “culla” della cultura russa moderna, essendo stata dal IX secolo d.C. il nucleo della Rus’ di Kiev, Stato monarchico medievale che si estendeva fino alla Bielorussia e alla Russia. Dal 1923 fino al 1991 l’Ucraina è stata poi una delle Repubbliche dell’ex Unione Sovietica, ricoprendo il ruolo fondamentale di “granaio dell’URSS” grazie alla grande estensione di terreni coltivabili. Dopo l’indipendenza, la relazione tra Mosca e Kiev è stata travagliata e ondivaga, a causa di un’alternanza tra governi più filo-russi e altri più vicini all’Occidente (seppur nel quadro di una politica multivettoriale volta a sfruttare la rivalità tra i due schieramenti), come quello di Viktor Juščenko, nato dopo la “rivoluzione arancione” di fine 2004, o quello attuale guidato da Volodymyr Zelenskji.

     

La posizione dell’Ucraina tra Unione Europea e Russia fa sì che il conflitto abbia valenze che vanno ben oltre all’aggravarsi delle divisioni interne del paese. Negli ultimi anni, l’Ucraina ha ricevuto il supporto militare del fronte occidentale (2,7 miliardi di dollari gli aiuti ricevuti dagli USA dal 2014), riaccendendo le preoccupazioni russe di fronte a un suo ulteriore avvicinamento alla NATO. Dopo il collasso dell’URSS, questa si è infatti espansa fino a includere paesi che la Russia ha storicamente considerato facenti parte della sua orbita: uno sviluppo che il Cremlino considera una minaccia a livello sia securitario che simbolico. Per quanto molti esperti considerino irrealistico che l’Ucraina possa davvero unirsi all’alleanza transatlantica, Putin ha avanzato richieste di garanzie di limitazioni delle azioni NATO nella regione, che includono il divieto di ulteriori allargamenti, il ritiro delle forze da paesi che si sono uniti all’Alleanza dopo il 1997 (un blocco di paesi che include buona parte dell’Europa orientale, dai paesi baltici ai Balcani). Richieste che suonano come ultimatum e che risultano inaccettabili per i paesi coinvolti, aprendo interrogativi sulle conseguenze in caso di un fallimento del processo diplomatico in corso in queste ore.

     

Fin dalla sua comparsa come stato indipendente in seguito alla dissoluzione dell’URSS nel 1991, la vita politica ucraina è stata segnata dalla sua posizione intermedia tra Unione Europea e Russia, e da divisioni regionali, in particolare tra la parte occidentale e quella orientale, in cui un’alta percentuale della popolazione (secondo l’ultimo censo condotto nel 2001, oltre il 50% in Crimea e Donbass) si identifica nativa di lingua russa. Dopo tumultuosi mesi di dibattiti politici e proteste popolari nel 2013, il 2014 è stato l’anno della svolta, con lannessione da parte della Russia della penisola ucraina della Crimea. Nello stesso anno, una linea di conflitto si è aperta nella regione orientale del Donbass, che ha visto i separatisti filorussi scontrarsi con l’esercito regolare. I separatisti hanno preso il controllo di parti del territorio, dichiarandole indipendenti con il nome di Repubblica Popolare di Lugansk e Repubblica Popolare di Doneck. 

     

Questione di energia: è questo il principale motivo per cui l’Ucraina ha un’importanza strategica per l’Europa. Da Kiev passa infatti oltre il 37% del gas naturale diretto dalla Russia verso Occidente (dati del 2021): una percentuale che negli ultimi anni si è ridotta, di pari passo con la realizzazione di nuovi gasdotti che hanno permesso l’apertura di rotte alternative, ma che ad oggi non consente ai Paesi europei di prescindere dalle forniture in arrivo dall’Ucraina. Tanto meno all’Italia, che dipende da Mosca per il 40% delle proprie importazioni di gas naturale. Un’arma di ricatto formidabile nei confronti dell’Europa in mano alla Russia, che ha già iniziato a chiudere i “rubinetti” in direzione di Kiev, dato che i flussi di gas in transito dall’Ucraina sono ai minimi degli ultimi anni. Ma anche uno strumento di pressione per fare approvare il recente – e discusso – gasdotto Nord Stream 2, che porterebbe l’energia direttamente in Germania attraverso il Baltico e che si inserisce nel disegno russo di diversificare le rotte di approvvigionamento bypassando l’Ucraina.

     

Se le trattative tra USA e Russia dovessero fallire, Mosca avrebbe diverse opzioni per attaccare militarmente l’Ucraina. Innanzitutto, si stima che la Russia abbia già schierato fino a 100.000 militari lungo il confine ucraino. Un intervento nella regione del Donbass sarebbe quello più semplice e potrebbe essere giustificato come un’azione di peacekeeping per separare le forze armate ucraine da quelle “ribelli” di Donetsk e Lugansk.  Un’altra opzione è da sud, sfruttando la presenza russa nella penisola di Crimea (già annessa “de facto” nel 2014). Infine, la strada verso Kiev potrebbe essere aperta da Nord, contando di un eventuale supporto della Bielorussia dell’alleato Lukashenko.

     

Mentre scambi diplomatici serrati sono attualmente in corso, le parti coinvolte mostrano che non si faranno trovare impreparate in caso di un’escalation militare. Se gli Stati Uniti promettono sanzioni “senza precedenti” in caso di un’invasione russa, il Cremlino nega di avere intenzioni di portare avanti un’invasione, accusando l’azione mediatica dell’Occidente di “isteria”. Il fronte occidentale intensifica i preparativi: gli Stati Uniti hanno allertato 8500 unità, mentre membri della NATO stanno inviando jet e navi da guerra in Europa orientale e sul Mar Nero. La Russia non resta certo a guardare. Da un lato ha annunciato esercitazioni navali nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nei Mari del Nord, con oltre 140 navi da guerra ed almeno 10 mila soldati coinvolti. Dall'altro sta spostando truppe dalla Siberia verso la Bielorussia per un'esercitazione congiunta. Entro due settimane lo schieramento dovrebbe essere completato e Mosca potrà così contare su un esercito, stimato tra le 130 e le 200mila unità, disposto su un perimetro con l’Ucraina che va da nord a sud-est.

     


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