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CAPITOL HILL, UN ANNO DOPO
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A un anno dall’assalto di Capitol Hill, la commissione d’inchiesta
sembra incastrare l’ex presidente Trump. Nel frattempo, anche le sue attività
private sono sotto accusa per frode al fisco. Che ne sarà del partito
repubblicano?
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Il 6 gennaio del 2021 la democrazia a stelle e strisce venne
messa in pericolo da un’orda estremista che, rifiutando il risultato delle
elezioni, attaccò violentemente la sede del Congresso degli Stati Uniti.
Un anno dopo, gli USA sono cambiati, Joe Biden è il nuovo presidente e la
pandemia torna a preoccupare: un milione i
nuovi casi registrati in 24 ore. Sui fatti di Capitol Hill, la commissione preposta
ad indagare il coinvolgimento dell’ex presidente Donald Trump comincia
a certificarne le responsabilità. La figlia Ivanka chiese ben due volte al
padre di mettere fine alle violenze in corso. Insomma, Trump sapeva cosa stava
accadendo al Campidoglio ma non fece niente per impedirlo. Per l’anniversario
dell’assalto – in cui morirono cinque persone e oltre 700 sono state indagate –
l’ex presidente aveva inizialmente convocato una conferenza stampa dalla sua residenza
invernale, salvo poi cancellarla, e rimandare al comizio che terrà in Arizona
il 15 gennaio. “Alla luce della faziosità e della disonestà della commissione
d'inchiesta sul 6 gennaio, cancello la conferenza stampa in programma a
Mar-a-Lago”, ha detto
Trump, che continua a sostenere la tesi delle frodi elettorali, cioè la “grande
bugia”. Nel frattempo, però, il tycoon è sotto accusa anche per le sue attività
economiche: la procura generale di New York ha convocato Trump e due dei suoi
figli per interrogarli nell’ambito dell’indagine sulle manipolazioni del valore
delle sue proprietà. Nell’anno del midterm, le accuse contro Trump hanno un
peso enorme non solo per i residui del trumpismo ma anche per il futuro del
partito repubblicano.
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I fatti di Capitol Hill non hanno precedenti nella storia
statunitense, ma giornali, opinionisti e politici sono divisi sulla natura di
quegli eventi: alcuni sostengono che fu un colpo di stato a tutti gli effetti,
altri una semplice insurrezione. Pochi giorni dopo, il presidente uscente – che
non ha mai direttamente riconosciuto la vittoria di Joe Biden – venne messo in
stato d’accusa. Trump è infatti l’unico presidente che ha affrontato due
volte la procedura di impeachment. La seconda fu proprio per incitamento
all’insurrezione, ma come la prima volta il Senato lo assolse, lasciando quindi
aperta la possibilità che Trump si ricandidi nel 2024. La commissione d’inchiesta
presieduta dal democratico Bennie Thompson e dalla repubblicana Liz Cheney presenterà
un primo rapporto preliminare entro la prossima estate, e uno definitivo entro
l’autunno. Thompson e Cheney hanno però rivelato
ad alcuni giornali che ci sono “testimonianze di prima mano” secondo cui mentre
era in corso l’attacco a Capitol Hill venne chiesto alla Casa Bianca di
intervenire. In particolare, viene detto che Ivanka Trump chiese almeno due
volte a suo padre, di cui all’epoca era anche consigliera, di metter fine alle
violenze. Le richieste di intervento rimasero inascoltate.
Secondo le ricostruzioni, furono almeno 2mila i sostenitori di Trump che, spinti
dalla “grande bugia” delle frodi di Biden, assaltarono il Congresso. Tra gli
altri obiettivi, anche la testa del vicepresidente Mike Pence, reo di aver
concesso la transizione dei poteri. La folla, stando alle accuse, venne
istigata dal precedente comizio di Trump “Save America March” in cui chiese
ai suoi sostenitori “fight like hell”, cioè di scatenare l’inferno.
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Parallelamente ai lavori della commissione sull’attacco del
6 gennaio, c’è un’altra inchiesta, di carattere civile, che pesa sul
futuro di Donald Trump. La procuratrice generale dello stato di New York,
Letitia James, ha convocato prima il tycoon e poi i figli Ivanka e Donald Trump
Jr per verificare le attività della Trump Organization. In particolare,
la procura newyorchese vuole interrogare i Trump per capire se questi abbiano
gonfiato i valori dei propri asset per ottenere prestiti dalle banche e se gli
stessi siano poi stati ridotti per pagare meno tasse. L’indagine era iniziata
nel 2019 dopo la testimonianza al Congresso dell’ex avvocato di Trump, Michael
Cohen, che sostenne le manipolazioni sulle proprietà della famiglia, tra cui ci
sarebbero anche il grattacielo di Wall Street, un hotel a Chicago e una tenuta
nella contea di Westchester. Lunedì scorso, gli avvocati della famiglia Trump
hanno chiesto
l’annullamento del mandato di comparizione sostenendo che la richiesta di
testimonianza della procuratrice James interferirebbe con un altro
procedimento, di carattere però penale, sempre contro la Trump Organization.
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La conferenza stampa inizialmente prevista per domani, oltre
che ribadire le accuse di frodi contro Biden, avrebbe molto probabilmente rilanciato
la leadership di Trump nel partito repubblicano in vista delle
presidenziali del 2024. “Le cose importanti da dire” slitteranno invece al 15
gennaio. Al netto di come evolveranno i procedimenti contro l’ex presidente,
sia quelli relativi al suo ruolo pubblico sia quelli dei suoi affari, i dilemmi
interni al partito repubblicano vertono sul cosa fare del trumpismo, se farne l’onda
da cavalcare al midterm del prossimo novembre e tra due anni, o se spostare il
baricentro politico su posizioni più moderate. Quanto accaduto un anno fa è
dirimente per sciogliere questo dubbio. E il timing del rapporto finale della
commissione sull’attacco del 6 gennaio potrebbe giocare a sfavore dei
repubblicani: qualora entro le elezioni di metà mandato l’inchiesta confermasse
la responsabilità dirette di Donald Trump, il “Grand Old Party” si troverebbe a
un bivio. Continuare a fare del tentato colpo di stato di un anno fa una
congiura democratica o smarcarsi da Trump e dall’estremismo di alcune sue frange?
Come analizza David Smith sul Guardian,
a un anno dall’assalto al Campidoglio il controllo di Trump sui repubblicani invece
che affievolirsi si è fatto più forte. Lo dimostrano sia il ritorno dei
pochi figliol prodigi repubblicani che inizialmente condannarono le responsabilità
dell’ex presidente, sia tutte le relative votazioni in blocco del partito: contro
i risultati elettorali, contro
l’impeachment, e contro
la stessa commissione d’inchiesta, nonché contro
la sua vicecapo Liz Cheney, che “non sarà più considerata una repubblicana”.
Il partito repubblicano sta, di fatto, riscrivendo la storia di quei fatti e
facendo un rischioso all-in ideologico: puntare tutto su Trump.
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IL COMMENTO
Di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po
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"Il 6 gennaio 2021 rimane una ferita aperta. Non solo per lo sfregio, pratico e simbolico, che l’assalto al Congresso e le violenze di quel giorno hanno rappresentato. Ma perché nemmeno quello, nemmeno il tentativo di bloccare con la violenza l’ultimo passaggio del processo di ratifica del risultato elettorale, è bastato per trovare una unità bipartisan. E in un paese radicalmente polarizzato, il 6 gennaio 2021 non ha infine prodotto una memoria condivisa. Anzi, su di esso sono state costruite narrazioni contrapposte, con una maggioranza di elettori repubblicani inscalfibili nel loro credere al mito della vittoria rubata a Trump da frodi diffuse (e smentite da tutti i riconteggi) e, anche, nel ritenere che l’assalto al Congresso sia stato non uno sfregio alla democrazia ma l’ultimo, disperato tentativo di patrioti pronti a tutto per difenderla e preservarla."
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