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27 dicembre 2021

IL SUDAFRICA PIANGE DESMOND TUTU

Il Sudafrica indice una settimana di lutto per la morte di Desmond Tutu, icona della lotta all’apartheid e ‘coscienza morale’ del paese.

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Il Sudafrica piange la morte di Desmond Tutu, arcivescovo anglicano emerito e icona, assieme a Nelson Mandela, della lotta alla segregazione razziale: negli anni Settanta e Ottanta usò il pulpito per scuotere l'opinione pubblica e rivelare le ipocrisie del sistema di apartheid, confortarne le vittime e scuotere le nazioni occidentali a fare di più per contrastarlo. Primo vescovo nero di Johannesburg e poi arcivescovo di Città del Capo, insignito del premio Nobel per la Pace nel 1984, ‘Tata’ Desmond Tutu come lo avevano affettuosamente soprannominato i sudafricani, era malato da anni. “Oggi scriviamo un nuovo capitolo di lutto nell'addio a una generazione di sudafricani eccezionali che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato – ha dichiarato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa – un uomo di straordinario intelletto, integrità e invincibilità contro le forze dell'apartheid”. I funerali di Tutu si terranno il 1° gennaio nella cattedrale di San Giorgio a Città del Capo, la sua ex parrocchia, e in suo onore le campane della cattedrale suoneranno per 10 minuti al giorno tutti i giorni a mezzogiorno, fino a venerdì. La morte di Tutu – celebrato in queste ore dai messaggi di cordoglio di tutti i maggiori leader mondiali – arriva poche settimane dopo quella dell’ultimo presidente sudafricano dell’era dell'apartheid, Frederik Willem de Klerk, morto lo scorso 11 novembre all'età di 85 anni.

Dall'apartheid alla democrazia?

Quando Nelson Mandela divenne il primo presidente nero del Sudafrica nel 1994, Desmond Tutu fu nominato capo della Commissione per la verità e la riconciliazione (TRC), istituita per indagare sui crimini commessi, sia dai bianchi che dai neri, durante l'era dell’apartheid. Pur condividendo con Mandela l’ideale di una società multirazziale in cui tutte le comunità vivevano insieme senza rancore o discriminazione – per cui coniò l’ormai famoso termine ‘Rainbow Nation’ – Tutu si è sempre rifiutato di sostenere la lotta armata e prese più volte le distanze dall'African National Congress (ANC), il partito che ha guidato il movimento di liberazione e che oggi governa in Sudafrica da più di 20 anni. Negli ultimi anni, in particolare, il prelato era diventato una voce critica nei confronti dell’ANC e dei leader del partito che – come l’ex presidente Jacob Zuma – con la loro corruzione e inefficienza avevano ‘tradito’ l’esempio di Mandela. Lo scontro con il partito divenne così duro che nel 2013, l’ANC lo escluse, inizialmente, dal programma per i funerali di stato di Nelson Mandela. Una decisione successivamente rivista a seguito dell’ondata di indignazione e proteste popolari. Più di una volta, negli ultimi anni, Tutu aveva espresso rammarico per il fatto che il Sudafrica non avesse realizzato le sue potenzialità nel modo in cui lui ed altri avevano sognato.

Un Sudafrica oltre l'ANC?

La morte di Tutu coincide con una nuova fase della politica sudafricana. Per la prima volta dalla fine dell'apartheid, il mese scorso alle elezioni municipali l’ANC è sceso sotto il 50% delle preferenze: un risultato disastroso per il partito che fu di Nelson Mandela e un chiaro atto d'accusa per le sue scarse performance. Un voto segnato anche dall’affluenza più bassa mai registrata finora dall’avvento della democrazia nel 1994. L'Alleanza Democratica, un partito centrista liberale che sostiene ufficialmente un’economia sociale di mercato, è riuscita infatti ad espugnare molte delle principali città, compresi tutti e tre i centri del cuore industriale del Gauteng — Johannesburg, Tshwane (Pretoria) ed Ekurhuleni — oltre a Cape Town, mentre non è riuscita a prendere Durban. Nonostante la vittoria l’AD appare molto divisa al suo interno: ha eletto un leader bianco e si è spostata a destra alla ricerca del voto della minoranza afrikaner. A sinistra dell'ANC, intanto, salgono le quotazioni degli Economic Freedom Fighters di Julius Malema, che ha costruito la sua ascesa su una violenta propaganda populista e cita Fidel Castro e Hugo Chávez tra i suoi modelli politici. Un'altra forza in ascesa è ActionSA di Herman Mashaba, uomo d'affari di successo ed ex sindaco di Johannesburg.

Un futuro incerto?

L’ascesa di nuove realtà e leader politici conferma quello che è sotto gli occhi di tutti: l'ANC annaspa e il suo monopolio di potere è sempre più a rischio, soprattutto perché anche negli anni relativamente stabili di Mandela e Thabo Mbeki – come più volte Desmond Tutu ha denunciato – non è riuscito ad affrontare le storture ereditate dall'apartheid. In Sudafrica le disuguaglianze sono gravi come durante il regime di apartheid e se i tentativi di emancipazione sono riusciti a creare una piccola élite, milioni di persone vivono ancora di sussidi. La disoccupazione supera il 30% con una disparità evidente nei confronti della popolazione nera, e le scuole non riescono a preparare la maggior parte dei bambini a quelle poche opportunità che esistono. Dopo gli scandali dell’era Zuma, l’attuale presidente Ramaphosa sta provando ad invertire la rotta ma non è detto che riesca entro il 2022 quando l’ANC si riunirà per il prossimo Congresso del partito. Mentre il Sudafrica naviga verso acque agitate la morte di Desmond Tutu rende il futuro ancora più incerto. ‘The Arch’, uomo del sorriso, oltre che di una lunga serie di coraggiose prese di posizione era stato un gigante dell’etica Ubuntu, spesso sintetizzata nella massima “Una persona è una persona attraverso le altre persone”. Un invito a realizzare la propria umanità attraverso il rapporto con il prossimo e una regola di vita, basata sulla compassione e il rispetto dell'altro. Una ‘Rainbow nation’ per cui un’intera generazione di sudafricani ha lottato e che, ancora oggi, sembra di là da venire.

   

IL COMMENTO

Di Rocco Ronza, Università Cattolica del Sacro Cuore e ISPI

“Tutu era l’ultimo dei tre Nobel per la pace che avevano guidato e dato un volto allo smantellamento dall’apartheid – e quello che aveva incarnato di più il legame tra la lotta alla segregazione e l’affermazione senza compromessi della democrazia e dei diritti umani. Ora che se n’è andato anche lui, dopo Mandela e De Klerk, tutto il peso della memoria di quell’evento fondativo rimane sulle spalle di Cyril Ramaphosa, che aveva iniziato la sua carriera di leader politico alla loro ombra negli anni Ottanta. Dal suo successo dipende molto del futuro del paese.”

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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