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ROMA, PARIGI E L’EUROPA CHE
VERRÀ
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Macron e Draghi firmano il
Trattato del Quirinale. Ma la cooperazione rafforzata tra Francia e Italia è
anche nell’interesse dell’Europa.
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Parigi e
Roma, da oggi, sono più vicine. È questo il senso ultimo, il segnale sancito dal Trattato del Quirinale che il presidente
francese Emmanuel Macron si appresta a firmare con il premier italiano Mario
Draghi. Se i contenuti del testo non sono ancora pubblici, si sa che la sua
struttura è articolata in undici
capitoli tematici (da esteri a difesa, migrazioni, sviluppo economico, ricerca,
transizione ecologica e altro) e in un programma di lavoro che individua come
concretamente i due governi – attraverso incontri e vertici cadenzati e
meccanismi di consultazione e cooperazione – dovranno perseguire gli obiettivi
fissati. Una firma, dunque, che servirà ad archiviare non solo simbolicamente le incomprensioni degli
ultimi anni ma
anche a inaugurare una nuova
stagione di collaborazione rafforzata tra Francia e Italia. Il tutto
nel segno del reciproco interesse e,
da non sottovalutare, dell’interesse
europeo. Sì, perché il
Trattato del Quirinale non prescinde dalla cornice europea che anzi si propone
di rafforzare: mentre la Germania si appresta a valicare la lunga era Merkel, la
Francia tra un mese assume la presidenza Ue e in primavera andrà al voto. Quanto
all’Italia, oggi guarda con più interesse e fiducia
all’Europa. Anche per questo la ritrovata intesa con la Francia non va vista come un club esclusivo,
ideato per estromettere altri partner, in primis Berlino, alleato chiave per
Parigi come per Roma.
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Un rapporto tra alti e
bassi?
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Alla
firma dell’accordo si è giunti attraverso un
lungo negoziato diplomatico, avviato nel 2017 e chiuso in soffitta per più
di un anno, tra i due governi Conte. A guardare oggi l’accoglienza della coppia
presidenziale, sembra impensabile che siano passati appena tre anni da quando,
nel febbraio 2019, Parigi richiamava il suo
ambasciatore a Roma (la
prima volta dal 1940) dopo il sostegno espresso dal governo italiano ai gilet gialli che
paralizzavano la Francia. Come lontani sembrano i tempi del ‘braccio di ferro’
italo-francese, col sostegno a fazioni
opposte nella guerra in Libia, e la crisi dei migranti a Bardonecchia e
Ventimiglia: allora Nicholas Sarkozy aveva chiuso i confini francesi per
evitare il passaggio di migliaia di migranti in arrivo dall’Italia. Da allora
le crisi al confine (con respingimenti direttamente alla frontiera) si sono ripetute con costanza e
continuano sottotraccia ora che riprendono gli sbarchi, nonostante la retorica sulla collaborazione. Forse il punto più
basso nelle relazioni con i cugini d’oltralpe, con cui comunque l’Italia ha sempre
condiviso, a livello europeo, approcci economici di fondo (più crescita e meno
austerity) e ora punta alla piena convergenza in vista della revisione/reintroduzione
del Patto di stabilità e crescita.
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Il Trattato del Quirinale non è il primo del suo genere per la
Francia. L’idea di fondo ricalca quella del Trattato franco-tedesco dell'Eliseo
firmato nel 1963 dagli allora presidenti Konrad Adenauer e Charles De Gaulle, poi rinnovato
nel 2019 ad Aquisgrana dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e
dall’attuale presidente francese. Dopo
la firma, da parte di Mario Draghi e
Emmanuel Macron,
spetterà al Parlamento autorizzarne la ratifica che porterà alla firma del
presidente della Repubblica. Ma
non mancano le obiezioni di chi fa notare che con la sua entrata in vigore, il Trattato rafforzerà
soprattutto la posizione della Francia in Europa, che diventerà l'unico paese europeo a poter beneficiare contemporaneamente di due patti di cooperazione rafforzata.
Ma soprattutto c’è ci vede nella rafforzata cooperazione industriale ed
economica, il rischio di un ‘effetto boomerang’ che trasformi la collaborazione
tra i due versanti alpini, in acquisizioni da parte dei giganti francesi nei
confronti dei ‘gioielli di famiglia’ italiani. Preoccupazioni non troppo
peregrine se nel pieno della prima ondata pandemica il governo, aveva esteso la
disciplina del golden power anche ai soggetti intra-Ue.
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Di
certo un aspetto positivo del Trattato risiede nella volontà di dare più peso
ai paesi mediterranei dell’Unione, citati espressamente nel testo. Sulle
preoccupazioni economiche, o sull’immigrazione, i francesi possono aiutare a
fare da collegamento tra paesi del sud e
del nord Europa. Fortificando l’asse anti-frugali anche in vista della
discussione sulla reintroduzione o modifica del patto europeo di stabilità e crescita. Altro punto di
convergenza è sulla difesa. Una difesa comune europea che Macron vuole mettere in cima all’agenda della presidenza di turno
francese, ai blocchi di partenza a gennaio 2022. Sul tavolo, dunque, c’è molto
di più degli intrecci tra le due sponde delle Alpi, in un momento di
convergenza tra Roma e Parigi, nel quale i leader di Francia e Italia sono
accomunati da obiettivi strategici comuni e si mostrano disposti a sostenere il
peso della transizione europea post-Merkel. Sono loro, in questo momento,
i custodi del patrimonio comune europeo. Di un continente ancora nella
burrasca, travolto com’è da una nuova violenta ondata di contagi. Sanno che,
come insegna l’epidemia, nessuno si salva da solo. Neanche l’Europa che, per farlo,
deve restare unita.
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IL VIDEO-COMMENTO
di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI
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