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31 ottobre 2021

FOCUS SPECIALE

COSA RESTERÀ DI QUESTO G20?

Il Summit di Roma si conclude con alcuni risultati: maggiori sforzi sui vaccini, la conferma della Global Minimum Tax sulle multinazionali, un impegno maggiore (ma non troppo) sul cambiamento climatico, l’ammorbidimento di alcune tensioni bilaterali. Le aspettative erano alte ma in un contesto internazionale ad alta tensione era difficile ottenere di più.

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Si è appena chiuso il Summit G20 di Roma e i leader mondiali hanno consegnato il loro comunicato finale mentre si affrettano a partire per Glasgow per un altro Summit, quello della COP-26 sull’ambiente. È dunque l’ora di trarre un bilancio iniziale del primo Summit in presenza dopo la pandemia, malgrado assenze di peso come quella di Xi e di Putin.

Cosa sono riusciti quindi a fare i leader politici sui più scottanti temi all’ordine del giorno: dai vaccini al clima, dalla finanza agli aiuti ai paesi più poveri?

Va anzitutto ricordato che malgrado l’attenzione sul G20 venga inevitabilmente riversata sul Summit, quest’ultimo rappresenta in realtà solo la punta dell’iceberg di un lavoro che dura tutto l’anno e che ha visto la presidenza italiana impegna in decine di incontri, tra cui ben 18 incontri tra i Ministri dei paesi del G20 competenti sulle varie materie. Nel rintracciare quindi i risultati del G20 è necessario guardare all’intero lavoro svolto quest’anno e ai tanti incontri a latere del vertice stesso. Tra questi spiccano quello tra Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna sul negoziato sul nucleare con l’Iran, così come quello tra Usa e Unione Europea che ha portato ad un ulteriore ammorbidimento delle tensioni commerciali.

Vaccini: si cambia davvero passo?

Nell’aprire i lavori del G20 il presidente Draghi ha ricordato l’obiettivo di procedere a passo spedito nel vaccinare la popolazione mondiale. L’obiettivo che già prima del vertice i leader mondiali si erano dati era quello di vaccinare almeno il 40% della popolazione entro la fine dell’anno. Obiettivo che in effetti è a portata di mano visto che ad oggi il 39% della popolazione ha ricevuto due dosi e il 49% è stato vaccinato almeno una volta Il problema è la distribuzione geografica dei vaccini. Infatti se nei paesi più ricchi la percentuale sfiora il 70%, quando si guarda ai paesi più poveri i numeri sono enormemente più modesti (in Africa ci si ferma intorno al 5%). L’asticella è stata spostata in alto durante il vertice: si punta ora a vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro la metà del prossimo anno. L’ostacolo rimane però sempre quello di procedere più speditamente nei paesi più poveri e, soprattutto, di far seguire alle parole i fatti. Basti ricordare che se gli Usa hanno già promesso di donare oltre 600 milioni di dosi, al momento ne ha effettivamente consegnato poco più di 100 milioni. Vengono così superati, ma di poco, dall’Ue che ne ha consegnato 137 milioni. La Cina ne ha invece donato meno di 100 milioni. Insomma il cammino verso la vaccinazione della popolazione mondiale appare ancora in salita, soprattutto nei paesi più poveri.

Economia: qualcosa si muove

Il risultato numero uno è probabilmente rappresentato dalla tassa minima globale fissata al 15% per le principali multinazionali e con un meccanismo di redistribuzione dei proventi (si stima intorno ai 120 miliardi di euro) dai paesi in cui queste aziende hanno la sede legale (molto spesso per motivi legati alla bassa fiscalità) a quelli in cui i prodotti vengono venduti. La tassa dovrà entrare in vigore entro il 2023. Inizia quindi ora un conto alla rovescia che si preannuncia difficile: i paesi dovranno tradurre il tutto in leggi nazionali e si dovrà creare da zero un meccanismo di risoluzione delle controversie.


Il G20 ha inoltre esteso a fine anno il posticipo del ripagamento degli interessi sul debito da parte dei paesi più poveri e ha anche predisposto meccanismi che – anche attraverso il coinvolgimento dei creditori privati – mira a evitare il default dei paesi in via sviluppo (con stock di debito decisamente più alto di quelli più poveri). Sarà sufficiente per evitare il rischio di crisi finanziarie? Purtroppo sembra di no. Il rischio rimane stante l’enorme aumento dell’indebitamento in tutto il mondo (schizzato al 100% del Pil mondiale dopo la pandemia). Eventuali aumenti dei tassi potrebbero spingere verso il fallimento alcuni paesi fortemente indebitati con conseguenze per la stabilità finanziaria internazionale. Motivo in più per uno più stretto coordinamento tra le principali banche centrali che dovranno anche ridurre, ma con gradualità e attenzione, i loro programmi di acquisto dei titoli. Da segnalare infine l’emissione senza precedenti (650 miliardi di diritti speciali di prelievo) da parte del Fondo Monetario Internazionale, richiesta proprio dal G20, e che dovrebbe permettere di introdurre nuova liquidità per supportare la ripresa post-Covid.

Ambiente: ancora troppo poco?

Il G20 non è il consesso internazionale principale per prendere decisioni vincolanti sul clima e sugli impegni dei singoli stati. Ma si è tenuto proprio appena prima della COP26, dove invece queste decisioni andrebbero prese. L’auspicio era che il Summit di Roma creasse quel consenso politico tra i 20 grandi del mondo (responsabili di circa l’80% di emissioni) che rendesse più facile i lavori della COP. Purtroppo l’obiettivo sembra centrato solo parzialmente. Cina e India hanno ribadito che i primi responsabili del surriscaldamento globale sono le economie mature, visto che buona parte dello stock di CO2 accumulato nell’atmosfera lo si deve a loro. Cosa in effetti indiscutibile. Ma la Cina è ormai il primo paese al mondo per emissioni (con emissioni pro-capite superiori a quelle Ue) e l’India il terzo. Il comunicato finale contiene l’impegno da parte di tutti per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi C e di fare ulteriori sforzi per puntare a 1,5 gradi. Si afferma inoltre che bisogna fare di più nei prossimi 10 anni per raggiungere la neutralità ambientale entro metà secolo. Ma non si va molto oltre queste dichiarazioni. Val la pena ricordare che secondo l’ultimo rapporto UNEP sulle emissioni globali (pubblicato pochissimi giorni fa) entro il 2030 bisognerebbe tagliare le emissioni del 30% per raggiungere l'obiettivo dei 2 gradi e del 55% per raggiungere l'obiettivo di 1,5 gradi (ad oggi il taglio delle emissioni si ferma invece al 7,5%). Servirebbe peraltro un contributo significativo anche da parte dei paesi in via di sviluppo e a più rapida crescita demografica. Fornire risorse e tecnologie a questi paesi è al riguardo fondamentale. Il G20 si è impegnato a dare 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2025, ma rimane da vedere se poi questi fondi verranno effettivamente elargiti. Alcuni passi avanti quindi in vista di COP26 ma rimangono molte le resistenze dentro il G20 dove siedono sia i principali esportatori di idrocarburi sia i principali consumatori.

   

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