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GROENLANDIA: ELEZIONI E GEOPOLITICA
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In Groenlandia
vincono gli Inuit, ambientalisti e contrari allo sfruttamento di un
maxi-giacimento di terre rare e uranio. Le elezioni nell'isola contesa per le
risorse, la rotta artica e la pesca, hanno calamitato l’attenzione delle
potenze mondiali.
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Alla fine il partito indipendentista Inuit Ataqatigiit (La Comunità Inuit - Ia) ce l’ha fatta. La formazione di
opposizione, ambientalista e di sinistra, ha
battuto il partito di governo Siumut, nelle elezioni anticipate in
Groenlandia, territorio a ridosso del Polo Nord di circa 50mila abitanti sotto
la sovranità della Danimarca ma che gode di ampie autonomie. Una vittoria storica,
considerato che è la prima volta che Simiut perde la maggioranza in parlamento
dal 1979, e un voto che avrà ampie ripercussioni sugli equilibri geopolitici nell’Artico. In
gioco infatti, non c’erano solo i 31 seggi del piccolo parlamento groenlandese, ma le sorti dell’immenso
progetto minerario Kvanefjeld, (Kuannersuit in lingua inuit), che secondo
le proiezioni costituirebbe il secondo
giacimento di metalli rari più grande al mondo,
e la quinta più grande riserva di uranio. Progetto a cui la comunità inuit si oppone con forza per i rischi ambientali e di inquinamento. La partita elettorale non si è giocata solo sullo
sfruttamento di risorse: un altro tema chiave ha riguardato il riscaldamento
globale che lo scorso anno ha causato uno scioglimento record dei ghiacciai. Un problema di non poco conto per un paese che vede l’80% del suo territorio ricoperto da ghiaccio per tutto
l’anno. Inoltre,
negli ultimi anni, lo scioglimento ha aumentato le superfici percorribili lungo le rotte artiche,
riducendo i tempi di navigazione e alimentando le rivendicazioni incrociate tra
paesi rivieraschi, già in competizione per le risorse energetiche sottomarine.
Finora ‘protetta’ da montagne di ghiaccio, la Groenlandia
e il nuovo Artico rischiano di diventare teatro di una corsa tra potenze (e tra
multinazionali) per la conquista delle ricchezze e degli spazi ora sempre più
accessibili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico.
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In Groenlandia lo sviluppo del settore minerario
è al centro del dibattito politico da anni. Il
partito socialdemocratico Siumut (Avanti) è favorevole a concedere
il nulla osta definitivo alla società
australiana Greenland Minerals and Energy (poi scalata dalla
cinese Shenghe Resources Holding Ltd di Shanghai) per il
progetto Kvanefjeld.
L’attività estrattiva creerebbe infatti centinaia di posti di lavoro e milioni
di euro di ricavi all’anno. Oggi però la
vittoria di Ia cambia le carte
in tavola e avrà un notevole impatto
sulle future politiche ambientali del
paese. Il partito, che
rappresenta la comunità Inuit, non è del tutto contrario
allo sfruttamento delle risorse minerarie dell’isola, ma lo è di quelle sotto
il monte Kuannersuit, a causa dell’inquinamento radioattivo e dei rifiuti
tossici che ne deriverebbero. Un tema
cruciale, perché una miniera di uranio a cielo aperto in quelle condizioni
climatiche, secondo molti esperti,
potrebbe inquinare con polveri radioattive l’intera Groenlandia meridionale e i
suoi mari, essenziali per l’economia
locale basata sulla pesca. Inoltre, lo sfruttamento minerario difficilmente
costituirà una soluzione rapida per l’indipendenza economica dell’isola.
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Quella dei ricavi non è una questione
secondaria per la Groenlandia, che solo con le tasse provenienti dalla
concessione coprirebbe parte dei circa 500 milioni di euro stanziati da
Copenaghen per metà del bilancio statale. Per rivendicare l’indipendenza dalla
Danimarca, auspicata da molti, la Groenlandia dovrebbe però diventare autonoma dal punto di vista economico: in
quest’ottica lo sviluppo del settore minerario rappresenta una rara opportunità
per diversificare l’economia locale. L’isola potrebbe infatti diventare uno dei
maggiori produttori al mondo di terre rare, un insieme di 17 minerali
essenziali per la fabbricazione di prodotti di uso comune, come smartphone e
computer, a quelli necessari per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli
fotovoltaici e macchine elettriche) fino al settore militare (laser, radar). Anche
per questo, Cina e Stati Uniti – in aperta competizione per il controllo di
questi elementi – hanno osservato con attenzione il voto in Groenlandia e i
suoi possibili esiti. In particolare gli Stati Uniti sono determinati
a ridurre il più possibile la propria vulnerabilità nei confronti della
Cina che, ad oggi, produce circa il 60% delle terre rare mondiali, oltre a
processare e raffinarne circa l’80% a livello globale.
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Ma se le potenze mondiali guardano con
sempre maggior interesse alla Groenlandia, è anche per la sua posizione geografica sulla rotta artica, che lo scioglimento
dei ghiacci ha reso ormai percorribile tutto l’anno. Non è un caso che, nel 2019,
l’allora presidente americano Donald Trump manifestò l’interesse degli Stati Uniti ad acquistare
l’intera isola, ricevendo un secco ‘no’ da
Copenaghen. Già negli ultimi decenni, gli Usa ci hanno costruito diverse stazioni
meteorologiche e basi militari, tra cui
quella di Thule – la più importante postazione del Pentagono nell’emisfero
settentrionale dai tempi della Guerra Fredda, a 800 chilometri dal Polo Nord – e
vorrebbero edificare tre nuovi aeroporti. Ma tra giacimenti di materie prime e
nuove rotte per il traffico marittimo, il
confronto si fa sempre più muscolare: la settimana scorsa il Cremlino
ha messo in scena una prova di forza senza precedenti, con una serie di
missioni combinate di tre sottomarini nucleari emersi tra i ghiacci polari a
poche decine di metri l’uno dall’altro. Uno sfoggio di potenza che dimostra che
se i ghiacci diminuiscono, intorno all’Artico le tensioni continuano a salire.
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IL COMMENTO
di
Alessandro Gili, ISPI Associate Research Fellow
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“Dopo le esternazioni di Trump nel 2019 circa
l’intenzione di comprare la Groenlandia dalla Danimarca – poi conclusesi in un
nulla di fatto con l’irritazione del Governo di Copenaghen – le elezioni in
Groenlandia hanno riacceso i riflettori sull’area, soprattutto alla luce della
sua ricchezza di metalli e terre rare. Elementi sempre più fondamentali per la
produzione della nuova industria tecnologica ed energetica, tra cui batterie,
pannelli fotovoltaici, cellulari e gran parte dei manufatti elettronici. E la
Cina, che già controlla gran parte delle terre rare a livello mondiale, grazie
anche alle immense risorse interne, non è indifferente alla partita
groenlandese, ancor di più oggi che il riscaldamento globale apre sempre più
prospettive per la stabilizzazione di una rotta commerciale artica. Ma gli
Stati Uniti potrebbero rilanciare offrendo nuovi investimenti alla Groenlandia,
aprendo un nuovo fronte di competizione geoeconomica tra le due superpotenze.
Con la Russia che non intende essere relegata al ruolo di spettatore.”
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