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DOMENICA DI SANGUE IN MYANMAR
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Spari
sulla folla in Myanmar nel giorno più sanguinoso dal colpo di stato. Mentre
spuntano nuove accuse contro Aung San Suu Kyi, che ricompare in collegamento
video davanti ai giudici: “Sta bene”.
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Aung San Suu Kyi, la ‘Lady’ del popolo birmano deposta da un colpo di stato militare lo scorso 1 febbraio, è comparsa per la prima volta in collegamento video dal luogo in cui si trova in detenzione. “Sta bene” ha detto il suo legale, dopo averle parlato, davanti al giudice che dovrà processarla. Si ritiene che sia detenuta nella capitale Naypyidaw, dove si sta svolgendo il processo, che la maggior parte della comunità internazionale ritiene una farsa. Intanto nel paese sale la tensione dopo settimane di proteste pacifiche e disobbedienza civile: ieri polizia ed esercito hanno aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendo 18 persone e ferendone altre 30. Proiettili, granate assordanti e gas lacrimogeni sono stati sparati contro manifestanti in diverse città, da Yangon a Dawei, Mandalay, Myeik, Bago e Pokokku, riferiscono le Nazioni Unite. “Non pensavamo che avrebbero aperto il fuoco” hanno raccontato alla stampa i manifestanti, colti di sorpresa dall’improvvisa escalation di violenza. “Il Myanmar è un campo di battaglia” ha twittato il primo cardinale cattolico del paese a maggioranza buddista, Charles Maung Bo, condividendo la fotografia di una suora nello stato di Kachin che si è inginocchiata davanti a una fila di agenti di polizia, pregandoli di non aprire il fuoco.
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Nuove accuse per la Lady?
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All’accusa iniziale di “importazione illegale di walkie-talkie” e “violazione della legge del Myanmar sui disastri naturali,” i giudici di Naypyidaw hanno aggiunto per l’imputata Suu Kyi anche quelle di violazione delle restrizioni per il Covid-19 durante la campagna elettorale e “procurato allarme”. Le accuse iniziali comportavano condanne fino a tre anni di carcere. Non è chiaro di che entità possano essere quelle comportate dalle nuove accuse. L’udienza è stata rinviata al 15 marzo. Secondo Myanmar Now, anche il presidente destituito Win Myint - un alleato chiave di Suu Kyi - è stato accusato di istigazione ai sensi del codice penale. I cittadini chiedono la scarcerazione delle decine di politici arrestati dai militari e il riconoscimento, da parte dei golpisti, delle elezioni dello scorso novembre, vinte dalla Lega nazionale per la Democrazia (Lnd), il partito della leader incarcerata, con oltre l’80% delle preferenze. L’incertezza sulla sorte di Aung San Suu Kyi era aumentata nei giorni scorsi dopo che Myanmar Now aveva dato notizia che ‘la Lady’ era stata trasferita dagli arresti domiciliari a una località segreta. La popolarità della leader birmana – detenuta per 15 anni dai generali, tra gli anni ’70 e ’90 - è aumentata vertiginosamente dal suo arresto, ma la sua reputazione internazionale rimane offuscata dalle accuse secondo cui avrebbe chiuso un occhio sulla pulizia etnica della minoranza musulmana Rohingya.
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Azioni
diplomatiche forti?
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Intervenendo a nome del deposto governo, l'ambasciatore del Myanmar alle Nazioni Unite ha fatto appello alla comunità internazionale “affinché utilizzi ogni mezzo necessario per agire contro l'esercito del Myanmar” e per fornire sicurezza e protezione al popolo birmano. “Abbiamo bisogno di azioni più forti da parte della comunità internazionale per porre immediatamente fine al colpo di stato militare, per evitare che persone innocenti divengano vittime di atti violenti, per restituire il potere statale al popolo e per ripristinare la democrazia,” ha detto l’ambasciatore Kyaw Moe Tun tra gli applausi dei rappresentanti all’Assemblea Generale dell’Onu. L'inviato, che al termine dell'intervento ha mostrato le tre dita, simbolo della protesta contro il golpe, ha anche esortato tutti gli stati membri a rilasciare dichiarazioni di condanna. Poco dopo, l'emittente televisiva birmana Mrtv ha annunciato che l'ambasciatore sarà rimosso dall'incarico "per aver parlato a nome di un'organizzazione che non rappresenta il Myanmar" e per aver tradito "il mandato affidatogli dal suo paese". Anche l’inviato speciale Onu per il Myanmar, Christine Schraner Burgener, ha detto all'Assemblea generale che nessun paese dovrebbe riconoscere o legittimare i governanti militari. “Non c'è giustificazione per le azioni dei militari, e dobbiamo continuare a chiedere il capovolgimento di questa situazione inammissibile” - ha detto all'Assemblea generale - “esplorando tutti i canali collettivi e bilaterali per riportare il Myanmar su un binario democratico”.
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Sfida alla comunità internazionale?
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Sono in molti a guardare agli eventi delle ultime ore in Myanmar col timore di scorgervi un cambio di passo. Finora, infatti, la repressione più dura si era consumata nelle zone rurali del paese, lontano dalle telecamere e dai social, lasciando che a Yangon sfilassero le colorate e pacifiche manifestazioni degli attivisti. Da ieri, però, anche la capitale commerciale è stata scenario di violenze catturate in foto e filmati estremamente crudi e diffusi in tempo reale. Se non è un cambio di passo è comunque un modo per sfidare la comunità internazionale. “È chiaro a tutti che questa violenza deve finire e la democrazia deve essere ripristinata,” ha detto il Foreign Office, mentre in un comunicato, l'ambasciata degli Stati Uniti in Myanmar si è detta “affranta” per la perdita di vite umane. Gli Usa, il Regno Unito e il Canada hanno imposto sanzioni al governo militare mentre l'Indonesia ha espresso “profonda preoccupazione” e annunicato che si rivolgerà all'Associazione dei paesi del sud-est asiatico (Asean) per rispondere alla crisi. In Thailandia, Taiwan e Hong Kong, gli attivisti hanno tenuto manifestazioni per sostenere i manifestanti del Myanmar e più ampiamente le idee di libertà e democrazia in nome della Milk and Tea Alliance, simbolo delle bevande tipiche dei rispettivi paesi, in contrapposizione al tè, che in Cina tradizionalmente si beve senza latte. Anche l'Unione Europea, attraverso Josep Borrell, ha annunciato “misure”. Fra i birmani cresce però la preoccupazione che alle parole non seguano fatti. E sui social avanza l’hashtag #How_Many_Dead_Bodies_UN_Need_To_Take_Action?
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IL COMMENTO di
Giulia Sciorati, Associate Research Fellow, Asia
Centre, China Programme
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“È ormai il momento per l’ASEAN di cercare una
risoluzione alla crisi in Myanmar. Domani i Ministri degli esteri dei membri
dell’Associazione, infatti, si incontreranno per un meeting straordinario che
ha come unico punto di discussione proprio la situazione politica nel paese.
Già nelle scorse settimane, l’Indonesia e Singapore avevano cercato un dialogo
con il nuovo Ministro degli esteri nominato dalla giunta birmana, sollevando
preoccupazione tra la popolazione del Myanmar che un tale incontro potesse legittimare
la giunta. Scegliendo la strada della mediazione con la giunta, l’ASEAN rischia
molto. Se dovesse fallire, infatti, potrebbe perdere il capitale politico che
si è costruita negli ultimi anni con la comunità internazionale”.
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