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MIGRANTI: AI CONFINI DEL DIRITTO
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Nel campo profughi di
Lipa, in Bosnia, migliaia di migranti sono senza un alloggio da quasi un mese.
Ma la catena di responsabilità è lunga e l’Europa finisce sotto accusa per respingimenti
illegali. Oggi alle 18.00 una tavola rotonda online dell'ISPI per parlarne.
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È passato quasi un mese
dall’incendio che ha distrutto il campo
profughi di Lipa, a Bihac, in Bosnia ed Erzegovina, al confine con la
Croazia. Da allora circa 1500 persone – perlopiù migranti provenienti da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh – vivono in condizioni
disastrose, senza servizi igienici e senza riparo, in una regione spazzata dal
vento e dalla neve in cui le temperature in questo periodo scendono anche a
meno 10 gradi sotto zero. Costruito e finanziato con i fondi dell’Unione Europea, lo
scorso aprile, il campo ospitava numerosi migranti giunti fin lì con la speranza di attraversare
la frontiera con la Croazia ed entrare così nell’Unione. Dopo l’incendio,
divampato per motivi ancora da chiarire, alcuni migranti hanno trovato riparo
nei boschi, mentre altri sono rimasti nel campo semidistrutto. E questo
nonostante secondo i volontari e i pochi giornalisti che sono riusciti ad
accedervi, sia ormai un posto “invivibile”, privo degli standard minimi di
pulizia e senza acqua corrente. Una ragione che costringe le persone ad andarsi
a lavare nei corsi d’acqua ghiacciati che scorrono nelle vicinanze. Nonostante
le pressioni e l’invio di aiuti da parte di Bruxelles, il governo bosniaco non è finora riuscito a gestire l’emergenza,
piegandosi davanti al rifiuto delle autorità locali e dei residenti, contrari
ad accogliere gli sfollati nel loro territorio.
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OGGI ALLE 18 - SEGUI L'EVENTO ONLINE
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Per questo, la tensione
tra Unione Europea e Sarajevo ha cominciato a montare, nelle ultime settimane, fino a sfociare in una crisi aperta.
“Questo disastro umanitario poteva essere evitato se le autorità avessero
creato sufficienti capacità di riparo per l'inverno, anche utilizzando le strutture
esistenti disponibili” ha detto Janez Lenarcic, commissario europeo per la gestione
delle crisi. E la Bosnia è stata oggetto di critiche crescenti per non aver
fornito ai migranti l'assistenza umanitaria garantita dal diritto
internazionale. “Nonostante il paese sia da anni un importante snodo lungo la
rotta balcanica – osserva Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale – e i
finanziamenti dall’Europa non siano mancati, le autorità locali hanno chiuso
dei campi senza aprirne altri. Secondo le autorità di Sarajevo nel 2020 sono
entrate in Bosnia poco più di 16mila persone, mentre altre 11mila sono state
bloccate lungo i confini a sud. “Se la Bosnia-Erzegovina non sarà in grado di
soddisfare le nostre richieste” e “gli obblighi internazionali” per risolvere
la crisi umanitaria nel campo di Lipa, “ci
saranno conseguenze” ha detto il portavoce della Commissione per la
politica estera, Peter Stano, facendo riferimento anche “all’aspirazione”
del Paese di entrare a far parte dell'Unione.
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… o
dei respingimenti a catena?
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Che
la responsabilità di questa emergenza umanitaria lungo la rotta balcanica sia da
attribuire alla Bosnia-Erzegovina però è vero solo in parte. Ad alimentare
violenze e abusi sui migranti da parte della polizia di frontiera (secondo il Danish refugee Council tra il 60 e il
70% dei migranti respinti afferma di aver subito violenze) sono le politiche di
respingimento operate dai paesi dell’Unione europea. Respingimenti a catena che a volte partono proprio dall’Italia,
e proseguono a ritroso in Slovenia, Croazia e infine in Bosnia. Tra il primo
gennaio e il 15 novembre 2020 il nostro paese ha infatti “riammesso” in
Slovenia 1.240 persone (il 420% in più rispetto al 2019), a loro volta respinte
a catena fin verso il territorio bosniaco. A rivelarlo sono i dati del Viminale
ottenuti da Altreconomia, riguardo le “riammissioni attive” effettuate dalla
polizia di frontiera a Trieste e a Gorizia a danno dei migranti e richiedenti
asilo. Ma allora quante delle persone respinte dall’Italia potrebbero esserci
oggi tra i migranti bloccati a Lipa? Un dato difficile da ricostruire secondo Silvia Maraone, project
manager della Ong Ipsia, che spiega: “Dalle testimonianze raccolte sul
campo mi sono fatta l’idea che siano uno su dieci di coloro che tentano il
‘game’ a piedi”.
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È in
questi respingimenti illegali che l’ipocrisia
europea sulla questione migratoria raggiunge il suo apice. Perché non solo
si impedisce loro di accedere alle tutele e alla protezione prevista dai
trattati, ma si appalta, come già fatto con l’accordo Europa-Turchia del 2016, a paesi extra
Ue e a ‘democrazia limitata’ la gestione dei flussi verso l’Unione. Secondo il Danish Refugee Coucil da marzo 2019
sono state respinte dalla Croazia verso la Bosnia 21mila persone, di cui 1.100 solo nel
mese di novembre 2020. E lo scandalo sui respingimenti forzati non si limita
alla rotta balcanica, ma arriva addirittura a coinvolgere i vertici di Frontex, l’agenzia europea con sede a
Varsavia, responsabile del controllo delle frontiere esterne dell’Unione. L’apertura di un fascicolo ai danni dell’istituzione, per presunte
irregolarità, è arrivata dopo mesi di ripetuti attacchi da parte delle ong per
i diritti umani che accusano l’agenzia per avere
preso parte ad alcuni respingimenti illegali di migranti nel
Mediterraneo orientale.
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IL COMMENTO
Di
Matteo Villa, Research Fellow ISPI, Migration Programme
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“Non è la prima volta che il fuoco riporta la nostra attenzione a ciò che succede lungo le rotte migratorie irregolari che conducono in Europa. Solo pochi mesi fa un incendio aveva riacceso i riflettori su Moria, il campo sull’isola greca di Lesbo. Oggi l'incendio di Lipa ci mostra che molto vicino a noi c’è un luogo che ci sforziamo quotidianamente di dimenticare. Forse perché ci ricorda che per evitare che in troppi tentino di raggiungere l'Europa abbiamo accettato che in migliaia continuino a soffrire. E senza il rafforzamento delle rotte regolari sarà così ancora per molto.”.
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