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17 novembre 2020

BRACCIO DI FERRO
SUL RECOVERY FUND

Nuova battuta d’arresto per l’approvazione del bilancio pluriennale e Recovery Fund. Ungheria e Polonia oppongono il veto e gli altri paesi insorgono: “Irresponsabili”. Berlino cerca una via d’uscita.

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Nuovo stallo nel processo di approvazione del Bilancio pluriennale dell’Unione Europea e del Recovery Fund. Ieri, nel corso della riunione degli ambasciatori dei 27, Ungheria e Polonia hanno di fatto posto un veto all’approvazione del pacchetto da 1800 miliardi di euro all’interno del quale è contenuto il Next Generation Eu, il piano per rilanciare l’economia europea dopo la crisi determinata dalla pandemia. Grande clamore ma poca sorpresa: Viktor Orban e Mateusz Morawiecki lo avevano detto chiaramente. Non avrebbero dato il via libera al piano di budget pluriennale se non fossero stati stralciati i meccanismi di condizionalità sullo stato di diritto. Se la bozza di regolamento che subordina l’esborso dei fondi al rispetto dei principi democratici è passata a maggioranza qualificata, Ungheria e Polonia hanno comunque minacciato il blocco sulla ‘decisione sulle risorse proprie’, imposte il cui gettito finisce nel bilancio comune di Bruxelles, che per passare ha bisogno dell’unanimità. Di fatto si rischia di fermare l'intera procedura legislativa. E con essa sussidi e prestiti la cui erogazione potrebbe slittare ulteriormente proprio quando altri paesi – Italia e Spagna in primis – hanno un disperato bisogno di accedere al denaro. Il tutto, infatti, avviene mentre l’Europa è attraversata da una violenta seconda ondata epidemica e ovunque sono ricominciati lockdown, parziali o totali. Un atteggiamento “irresponsabile” secondo Manfred Weber, capogruppo del Partito popolare all’Europarlamento, che ha ricordato come i criteri sullo stato di diritto “sono neutri e si applicano a tutti: se uno li rispetta non ha nulla da temere”.

Impasse istituzionale o bluff?

Accuse che non smuovono le acque e che Varsavia e Budapest rimandano al mittente: “L’Ungheria – ha spiegato Zoltan Kovacs, portavoce di Orban – non può sostenere il piano nella sua forma attuale che lega i criteri dello Stato di diritto alle decisioni di bilancio. Non è stata l’Ungheria a modificare la sua posizione, la nostra linea è stata chiara fin dall’inizio”. “In gioco – ha aggiunto il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro – è il futuro della Polonia. Dobbiamo bloccare questo disegno per limitare la sovranità polacca”. In realtà, come spiega Matteo Tacconi in questa analisi per ISPI, non è chiaro cosa avrebbero da guadagnare i due paesi nel bloccare risorse di cui, peraltro, figurano tra i principali beneficiari: la Polonia con quasi 64 miliardi è al terzo posto dopo Italia e Spagna. Mentre anche l'Ungheria, con i suoi appena 9 milioni e mezzo di abitanti, ottiene ben 15 miliardi di euro. Per non parlare del bilancio: la Polonia è il primo beneficiario dei fondi Ue (106 miliardi), tra i primi anche l'Ungheria (49,3 miliardi). La scommessa dei diplomatici è che si tratti di un bluff per mettere l’Europa all’angolo e costringerla a cedere per prima.

Una crisi di troppo?

Ma non tutti sono convinti che si tratti di una crisi passeggera. Donald Tusk, capo del Partito popolare europeo ed ex primo ministro polacco, ha chiesto che Viktor Orban, la cui adesione al Ppe è attualmente sospesa, venga espulso. “Chiunque sia contro il principio dello Stato di diritto è contro l'Europa. Mi aspetto una posizione chiara al riguardo. Gli oppositori dei nostri valori fondamentali non dovrebbero più essere protetti da nessuno” ha twittato Tusk. Anche per Bruxelles, l’ennesima crisi nel percorso per approvare il piano contro i danni collaterali della pandemia sembra mettere il blocco di fronte ad una crisi di troppo. Ma in fondo, l’Europa non fa che pagare lo scotto, inevitabile, per non aver risolto la controversia sullo Stato di diritto lo scorso luglio, quando è stato approvato il pacchetto relativo al bilancio e al Recovery Fund. Allora, per uscire dall’impasse dopo lunghi ed estenuanti negoziati, si decise di prevedere un collegamento tra il bilancio e gli standard dello Stato di diritto, lasciando la formulazione aperta all'interpretazione.

Ora che si fa?

Il problema ora è tutto nelle mani della presidenza tedesca che esclude, al momento di riaprire i negoziati con il parlamento per provare a strappare qualche concessione a favore di Ungheria e Polonia. Alcuni eurodeputati avevano già accettato di malavoglia l’attuale meccanismo, al ribasso rispetto alle intenzioni iniziali: il rischio è che si ribellino e blocchino a loro volta il piano che, per passare, deve ottenere l’approvazione unanime del Consiglio (i capi di stato e governo) e dell’Europarlamento. "Lavoreremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni con tutte le parti coinvolte per trovare una soluzione e credo che la troveremo": ha dichiarato in proposito il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, mentre l’unica cosa certa, al momento, è che la questione sarà al centro della video conferenza dei 27 capi di stato e di governo di giovedì, che doveva essere interamente dedicata alla pandemia. Se non si troverà la quadra, il 2021 si aprirà con un esercizio provvisorio del bilancio e, come ormai appare probabile, l’erogazione del Recovery Fund potrebbe slittare fino alla fine della prossima estate.

IL COMMENTO


Di Franco Bruni, Vice Presidente ISPI

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“È sperabile che la diplomazia europea riesca presto a recuperare il consenso di Ungheria e Polonia, che sono indebolite anche da problemi politici ed economici interni. E che, subito dopo, si superino le probabili ultime resistenze dei ‘frugali’, che paiono pronti a mettere altri bastoni fra le ruote di New Generation UE.
Rimane comunque prioritario l'impegno a cancellare la regola dell'unanimità per molte deliberazioni comunitarie, così come a far rispettare a tutti i Paesi membri i diritti civili e i principi fondanti dell'Unione”.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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