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ETIOPIA: SULL’ORLO DEL BARATRO
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L’offensiva militare contro
il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), che considera il premier
Abiy Ahmed un leader illegittimo, rischia di alimentare le spinte
secessioniste, in una delle regioni più instabili dell’Africa.
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A una settimana
dall’inizio dell’offensiva militare nel Tigray, la più a nord delle nove
regioni che compongono l’Etiopia, al confine con l’Eritrea, gli scontri non
accennano a diminuire. Il governo regionale, dissolto dal
parlamento di Addis Abeba,
ha invitato i
residenti a difendersi dall’aggressione dell’esercito federale, mentre il premier
Abiy Ahmed ha lasciato cadere nel vuoto gli
appelli dell’Unione Africana per una sospensione delle violenze. Il primo
ministro ha licenziato il capo di stato maggiore dell'esercito, ha nominato un
nuovo capo della polizia federale e ha sostituito il ministro degli Esteri. Ed
è tornato ad attribuire al Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), partito
politico rappresentativo dell’etnia tigrina, le responsabilità per l'attacco delle
forze tigrine a una base federale. L’aggressione sarebbe giunta al culmine di
una serie di provocazioni, secondo le accuse del governo, e a poche settimane
di distanza dallo scoppio del vero casus
belli, il voto locale svoltosi nel
Tigray, nonostante il lockdown nazionale imposto da Addis Abeba avesse
fatto slittare le elezioni nazionali a data da destinarsi. Il tutto secondo il
premier allo scopo di “far deragliare la transizione democratica”. Fin dalla sua
ascesa al potere nel 2018, Abiy Ahmed - che l'anno scorso ha vinto il Premio
Nobel per la pace – ha dovuto far fronte a profonde divisioni e spinte secessioniste che stanno mettendo a rischio l’unità del paese. Dichiarando
che una “linea rossa” era stata superata, Abiy ha sottolineato come ormai fosse
in gioco lo “stato di diritto”, sfidato dall’élite secessionista tigrina che
per anni ha dominato la scena politica nazionale.
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Considerato in
passato uno dei peggiori paesi al mondo per la libertà di stampa e di pensiero,
l’Etiopia sta attraversando dal 2018
profondi cambiamenti. Abiy Ahmed ha rilasciato migliaia di prigionieri politici, ha rimosso il divieto
alla creazione di nuovi partiti e ha spinto per un accordo di pace che ha messo fine al ventennale
conflitto con la vicina Eritrea. Per questo, il premier, che a 44 anni è il leader più giovane del continente, è
stato insignito lo scorso anno del Premio Nobel per la Pace. La sua nomina
aveva sollevato le speranze della comunità Oromo, di cui Abiy fa parte e che
rappresenta l’etnia maggioritaria nel paese, di vederlo promuovere un programma
politico a loro favorevole, ma Abiy ha fin da subito posto l’accento sull’importanza di un’unità nazionale
che trascendesse le istanze etniche. I critici, anche nel Tigray, sostengono
che la sua enfasi sul superamento delle istanze regionali, minacci la loro
autonomia. L'allentamento delle restrizioni sui media ha avuto, come risvolto
della medaglia, quello di scatenare propagande incrociate e incitamento
all'odio su base etnica. Il governo centrale, alle prese con un calo della
popolarità, ha deciso di rinviare le elezioni che si sarebbero dovute tenere questo agosto, causa
Covid-19.
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Lotta di potere
dietro il conflitto?
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I leader del Tplf sostengono
che Abiy Ahmed occupi illegittimamente la posizione di capo del governo, poiché
il suo mandato è scaduto. E hanno deciso di contravvenire alla decisione di
posporre il voto, organizzando elezioni regionali a settembre. Un voto dichiarato illegale dal governo centrale. Ma le ragioni dello scontro tra il primo ministro e
l’élite tigrina hanno radici più profonde.
Anche se
rappresentano solo il 6% della popolazione dell’Etiopia, composta da oltre 110
milioni di persone (gli altri gruppi etnici maggioritari sono Oromo e
Amhara), i tigrini hanno svolto un ruolo preponderante nella coalizione di
partiti regionali su base etnica, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo
etiope (Eprdf), che per 20 anni ha dominato
la scena politica dell’Etiopia. Pur avendo portato il paese ad una crescita
economica dirompente e predisposto un’efficiente amministrazione statale, il
dominio dell’élite tigrina ha scatenato il risentimento delle altre comunità ed
è stato travolto nel 2015 dalle manifestazioni di piazza che accusavano il
governo di corruzione. Nel 2018, con l’arrivo di Abiy, la leadership tigrina è
stata di fatto epurata, e le relazioni sono ulteriormente peggiorate dopo che
Abiy ha sciolto l’Eprdf, fondando il Prosperity
Party, a cui il Tplf ha rifiutato di aderire.
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Che ruolo gioca
l’Eritrea?
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Con Internet e le
linee telefoniche interrotte da giorni in Tigray, è difficile capire come si
stia orientando il conflitto. Il Tplf denuncia il coinvolgimento, al fianco dei
reparti dell'esercito federale, delle
forze speciali dell'Amhara, mentre sono segnalati scontri al confine con
Eritrea e Sudan, dove ci sono anche diverse decine di migliaia di sfollati in fuga.
Ma gli interrogativi
più insistenti riguardano un possibile coinvolgimento di Asmara nel confitto.
L’élite politica del Tigray era al governo di Addis Abeba nei lunghi anni di
guerra con l’Eritrea che potrebbe decidere di approfittare della situazione per
assestare un colpo definitivo ai nemici di lunga data. Il tutto in un contesto,
il Corno d’Africa, tra i più vulnerabili
del continente: i vicini dell'Etiopia includono la Somalia – da cui le
forze etiopi si sono ritirate dopo lunghi anni di campagna militare – e il
Sudan, che sta affrontando una delicatissima transizione politica. Per questo
la regione, in cui Abiy si è presentato con un profilo da pacificatore, osserva gli eventi con inquietudine
crescente.
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L’ipotesi di una
guerra civile, con possibili coinvolgimenti a livello regionale, del secondo
paese più popoloso del continente
africano basta da sola a far intravedere i rischi di una simile deriva. Eppure
si tratta di un’ipotesi tutt’altro che remota. Nel nord del paese, l’esercito
federale si scontra con le forze armate regionali agli ordini del TPLF, che contano
circa 250.000 effettivi ben armati. Per questo, nonostante entrambe
le parti sostengano che in conflitto sarà breve, potrebbe non esserlo affatto. “Sembra di vedere un
incidente ferroviario al rallentatore” ha
detto Dino Mahtani dell’International Crisis Group. Il timore è che il
conflitto possa estendersi alle altre regioni, facendo esplodere le rivendicazioni
autonomiste delle diverse comunità che compongono il paese.
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IL COMMENTO
di Camillo Casola,
Programma Africa ISPI
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“L’intervento
militare deciso dal primo ministro Abiy in Tigray giunge al culmine di
un’escalation di tensioni tra il governo federale e il TPLF. Non è una mossa
inaspettata: la questione delle elezioni illegali svoltesi nella regione
settentrionale ha offerto al governo un’occasione per regolare i conti con le
élites tigrine. Il rischio è che il conflitto si protragga più di quanto Addis
Abeba si aspetti, e che assuma una dimensione regionale.
Prospettiva più che
concreta, se si tiene conto dell’interesse condiviso dall’Eritrea di Isaias a
liberarsi del TPLF, il principale ostacolo alla normalizzazione delle relazioni
politiche con l’Etiopia. E guardando oltre il Corno, l’Egitto resta uno
spettatore interessato a una possibile destabilizzazione dell’Etiopia, che
potrebbe ostacolare il progetto di riempimento della Grande diga del
rinascimento etiopico (GERD)”.
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