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L’EUROPA IN CERCA DI UNA POLITICA ESTERA COMUNE
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I leader dei 27 si riuniscono oggi e domani a
Bruxelles per un Consiglio europeo straordinario. Un incontro che doveva
inviare un segnale di coesione e fermezza, soprattutto sulle questioni di
politica estera, ma che rischia di inciampare in divergenze persistenti.
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È la
politica internazionale il piatto forte del Consiglio europeo straordinario che
si tiene oggi e domani a Bruxelles. Sul tavolo, la questione dell'avvelenamento del politico d’opposizione russo Alexei
Navalny, le proteste in Bielorussia, i
rapporti con la Cina e la Turchia e la crisi nel Mediterraneo orientale, sino
al riaccendersi del conflitto in Nagorno-Karabakh. Una lista talmente
lunga e complessa da risultare scoraggiante se non fosse che elenca appena quanto
accaduto fuori dal nostro giardino di casa negli ultimi sei mesi. Per questo,
come ha spiegato il presidente Charles Michel nella lettera di convocazione ai capi di stato e di governo,
il vertice Ue dovrà concentrarsi “sulla capacità dell’Europa di forgiare il suo
stesso destino”, mentre ai suoi fianchi si
moltiplicano le sfide diplomatiche. Ammesso che ci riesca e che superi le
divisioni che si agitano tra i paesi membri.
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La Cina e gli altri. Un’agenda fitta?
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Nella lettera di invito
ai leader europei, il presidente Michel elenca le numerose questioni all’ordine
del giorno. In cima alla lista e in apertura dei lavori, però, c’è la Cina. Michel
sottolinea che l’Europa “desidera insistere su un rapporto economico più equilibrato e reciproco, garantendo parità di condizioni. Inoltre, [continuando]
a promuovere i nostri valori e standard”.
In una bozza delle conclusioni del vertice, che i leader europei si troveranno sul tavolo, il Consiglio
Europeo “sottolinea le sue forti preoccupazioni” per la situazione dei diritti
umani in Cina e ad Hong Kong. Nel documento si "incoraggia" Pechino anche ad
assumere "maggiori responsabilità" e "azioni più ambiziose"
nella lotta ai cambiamenti climatici. E si conferma l'obiettivo di finalizzare
entro la fine dell'anno l'accordo bilaterale sugli investimenti per superare
“le attuali asimmetrie” nell'accesso al mercato cinese.
Inoltre, il Consiglio
“condanna il tentativo di assassinio” di Alexei Navalny con il novichok e
chiede la “piena collaborazione” delle autorità russe per assicurare un'indagine internazionale imparziale.
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Recovery Fund: ospite inatteso?
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Ma appena poche ore prima dell’apertura del consesso, sul
Consiglio si abbatte la ‘tegola’ dello stato
di diritto: la Commissione europea presenta il suo primo rapporto
annuale sul tema e mette in evidenza le molte violazioni in paesi come Polonia
e Ungheria. Il braccio di ferro tra il blocco
di Visegrad e i paesi cosiddetti “frugali” sulla condizionalità dello stato di diritto legato
al bilancio Ue rischia di allungare
i tempi per il via libera definitivo al Recovery fund da 750 miliardi su cui i capi
di stato e di governo europei hanno faticosamente trovato un’intesa a luglio. Ecco così che il piano per il
rilancio economico dell’Unione a 27 potrebbe diventare un convitato di pietra al consiglio, tanto più che anche il Parlamento europeo
avverte che dopo cinque cicli di incontri, i negoziati sono a un punto morto.
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Turchia, partner difficile?
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Altre due questioni diplomatiche rischiano di ‘incrociarsi’
pericolosamente: Turchia e Bielorussia.
L’Unione Europea ha rifiutato di riconoscere Alexander Lukashenko come legittimo
presidente della Bielorussia a seguito delle contestate elezioni di agosto e di una brutale repressione delle
manifestazioni di protesta. Delusa dal debole sostegno europeo nella sua
situazione di stallo con la Turchia nel Mediterraneo orientale, dove le navi
turche continuano a perforare i fondali ciprioti, Nicosia ha annunciato che non approverà ulteriori sanzioni contro il
regime bielorusso finché Bruxelles non mostrerà maggiore fermezza nei confronti di Ankara. Paralizzata tra
l’incudine e il martello di fronte a una Turchia che moltiplica le provocazioni
– il suo coinvolgimento nel Nagorno-Karabakh a fianco dell’Azerbaijan rischia
di diventare un’altra spina nel fianco europeo – l’Unione dovrà approfittare di
questo incontro per trovare una sola voce con cui discutere con il presidente
turco Recep Tayyip Erdogan. Di tutti quelli posti sul tavolo, il dossier
Turchia – un partner commerciale, un interlocutore sulla questione migratoria e
un membro Nato – si rivela, ancora una volta, il più spinoso.
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Ironia della sorte, i nodi
europei arrivano al pettine proprio poche ore dopo il surreale dibattito Trump-Biden,
a testimonianza della deriva in cui si trova lo storico alleato americano,
punto di riferimento dell’Europa nel mondo. Nelle cancellerie europee ci si
domanda se cambierà qualcosa con una vittoria di Joe Biden, certo, ma si fa
fatica ad immaginare un ritorno della leadership Usa sul palcoscenico
internazionale dall’oggi al domani. Per evitare di continuare a procedere in ordine sparso,
l’Europa deve puntare ad un’autonomia strategica basata sui pilastri di stabilità, standard e valori. Per ottenerla bisogna superare ostacoli radicati, come la regola dell’unanimità nelle decisioni di politica estera. Pronti a collaborare con tutti, ma in modo autonomo. Una sfida che siamo
lontani dall’aver già vinto.
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IL COMMENTO
di
Valeria Talbot, co-head area Mena, ISPI
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“Due giorni fa Erdogan ha inviato un messaggio distensivo, aprendo ad un dialogo senza precondizioni sulla questione delle acque contese nel Mediterraneo Orientale. Questa volta la minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles sembra aver ottenuto i risultati sperati, ma la Ue, più prima che poi, dovrà decidere cosa fare del suo rapporto con Ankara”.
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