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23 settembre 2020

UN NUOVO VECCHIO PATTO SULLE MIGRAZIONI

La Commissione presenta la sua proposta per superare il Regolamento di Dublino. Prevede un rafforzamento delle frontiere esterne, accordi con i paesi di partenza e un meccanismo di solidarietà obbligatorio.

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Superare lo stallo e approvare una politica comune sulla migrazione: questo l'obiettivo dichiarato del nuovo patto su asilo e migrazione della Commissione europea, presentato oggi a Bruxelles dalla presidente Ursula von der Leyen. Atteso da mesi, rinviato a causa della pandemia, il nuovo ‘Patto sull’immigrazione e l’asilo’ arriva pochi giorni dopo lo spaventoso incendio che ha distrutto il campo di Moria, sull'isola greca di Lesbo, dove vivono assiepate in condizioni drammatiche oltre 12mila persone. “Quello che proponiamo oggi è un nuovo inizio” ha detto la presidente, aggiungendo che “le migrazioni sono un fenomeno complesso e il sistema attuale non funziona”. Fin qui tutto bene. Ma quando si passa al dettaglio, i punti centrali della proposta sono il rafforzamento dei controlli alle frontiere, il miglioramento dei programmi di rimpatrio, gli accordi con i paesi di partenza e di transito e un ‘meccanismo di rimpatri sponsorizzati’ che sostituisce il criterio delle ripartizioni obbligatorie, che tanto nessuno avrebbe mai approvato. Dalla solidarietà per l’accoglienza a quella per i rimpatri? Il dubbio è legittimo e persino il vice presidente della Commissione, Margaritis Schinas, ammette: “Abbiamo dovuto trovare un compromesso”. Il nuovo patto sembra già vecchio, lascia irrisolti i soliti nodi e stabilisce solo quello su cui tutti sono d’accordo: rafforzare i controlli e limitare gli ingressi. E se stavolta la Commissione pensava di aver trovato la formula giusta per accontentare tutti, non è detto invece che la proposta passi. Per essere approvata bisognerà convincere tutti i 27 stati membri. Non sarà una passeggiata.

Cosa prevede Dublino?

Non è la prima volta che si cerca di superare il regolamento di Dublino, approvato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997 e che attualmente regola le procedure di accoglienza e gestione delle domande d’asilo. In passato ci hanno provato sia il Parlamento sia la Commissione incontrando sempre l’opposizione del Consiglio dell’UE, l’organo che riunisce i governi degli stati membri. La Convenzione è ritenuta datata e inefficiente oltre che fondamentalmente ingiusta verso i paesi di frontiera, poiché obbliga il primo paese dell’Unione in cui migranti e rifugiati mettono piede a identificarli e trattenerli per tutto il tempo (due anni in media) in cui la loro richiesta viene vagliata. Oltre agli oneri economici che questo comporta, le pratiche legali e la gestione dell’accoglienza sono un fardello che nessun paese, da solo, può sostenere. Per questo, nel corso degli anni, si è proposto di sostituire al criterio del “primo ingresso” un meccanismo di equa ripartizione dei richiedenti asilo fra i 27 stati dell’Unione. È qui che gli interessi contrapposti dei singoli stati e gli egoismi nazionali hanno rischiato di arrivare ad una frattura. Il fronte dei paesi contrari è guidato da Austria, Polonia e Ungheria, ma ve ne sono anche altri.

Un palazzo di tre piani?

Margaritis Schinas ha descritto il nuovo patto come “un palazzo di tre piani”, in cui “al primo piano c’è la dimensione esterna, molto forte, con accordi con i paesi di origine e di transito. La finalità è aiutarli ad aiutare le persone nei loro paesi di origine”, ha detto Schinas. Al “secondo piano” della casa ci sarà “un solido sistema di screening alla frontiera esterna con una nuova guardia di frontiera e costiera europea, con molto più personale, imbarcazioni e strumentazione”. Tutti le procedure di identificazione saranno rafforzate per orientare le persone attraverso il percorso che devono affrontare. “Questo – ha osservato Schinas – per evitare la confusione dell’attuale sistema o meglio ‘non sistema’ che ci governa”. E infine il “piano superiore” dell’edificio sarà un “meccanismo rigoroso ma giusto di solidarietà” e introduce per i profughi arrivati in Europa un sistema di “ritorni sponsorizzati”. In pratica, piuttosto che continuare a litigare per i rifugiati a cui è permesso rimanere, la Commissione propone che i paesi che rifiutano di accogliere, si facciano carico del ritorno in patria di coloro che non possono restare. Il paese in cui un migrante entrerà per la prima volta nell'UE riceverà rassicurazioni sul fatto che sarà “alleviato dallo stesso numero di persone” di cui aveva diritto in base al programma di ricollocazione.

Una soluzione accettabile?

Il nuovo patto non prevede quindi ricollocamenti obbligatori di migranti, secondo il principio ‘sharing the burden’, ma chiede a tutti uno sforzo comune per “ricostruire la fiducia tra gli stati membri” e raggiungere il “giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”. Il documento, che ha un valore politico e programmatico di cinque anni, dovrà passare al vaglio del Parlamento ed essere discusso con i governi dei 27 che dovranno approvarlo in sede di Consiglio. Per la commissaria Johansson, la gestione della migrazione “non consiste nel trovare una soluzione perfetta, ma una soluzione accettabile per tutti”, e aggiunge: “Immagino che nessuno stato membro dirà che questa è una proposta perfetta, ma spero che i 27 diranno che è un approccio equilibrato su cui vale la pena lavorare”. Senza appello invece il giudizio della ong Oxfam, secondo cui “per raggiungere un consenso, la Commissione ha ceduto alle pressioni dei governi europei il cui unico obiettivo è ridurre il numero di beneficiari di protezione internazionale nel continente”. Secondo la ong le nuove proposte “rischiano di riprodurre situazioni abominevoli a cui siamo stati testimoni per anni negli hotspot della Grecia, luoghi che dovrebbero selezionare i richiedenti asilo e dove invece, di fatto, intere famiglie vivono in detenzione”.


IL COMMENTO


di Matteo Villa, ISPI Research Fellow - Programma Migrazioni

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A cinque anni dalla crisi dei rifugiati siriani, e a tre da quando anche verso l’Italia i flussi sono crollati tornando ai livelli pre-crisi, le distanze tra i paesi UE su come rispondere alla sfida delle migrazioni restano incolmabili. Proprio per questo anche il pacchetto di riforme proposto oggi dalla Commissione, pur di venire incontro alle esigenze di tutti, non soddisfa nessuno. 

 In un’Europa in cui manca solidarietà, l’unico punto su cui tutti concordano è la riduzione degli arrivi irregolari. Con le buone (sviluppo) o le cattive (controlli e rimpatri). 

Riforme? Forse. Ma in piena continuità con le scelte del passato recente”.

   

Per approfondire:


ISPI DOSSIER

Migration in a Post-Pandemic World

A cura di Matteo Villa

   
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ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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