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BIELORUSSIA E MAL D’EUROPA
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Sulla crisi dei migranti
bloccati alla frontiera polacca Merkel chiama Lukashenko e filtra l’ipotesi di
colloqui con la Bielorussia. Tra l’imbarazzo di Bruxelles e il ‘no’ di Varsavia.
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Prima
con Putin poi, direttamente con Lukashenko: i colloqui avviati
dalla cancelliera tedesca
Angela Merkel stanno portando ad un allentamento
delle tensioni al confine tra Polonia e Bielorussia. Lo riferiscono fonti
diverse secondo cui, nelle ultime ore, le autorità bielorusse hanno accolto centinaia dei circa 7mila migranti bloccati alla
frontiera, in un edificio poco distante mente Ursula von der Leyen ha
annunciato l'invio di aiuti umanitari per 700mila euro. Tutto risolto
dunque? Non proprio. Secondo Minsk, le conversazioni delle ultime ore avrebbero
fatto da viatico per l’apertura di
colloqui diretti tra Minsk e l’Unione Europea; una notizia che ha colto di
sorpresa molti leader europei e su cui Bruxelles si è affrettata a gettare
acqua sul fuoco: si tratterebbe solo di “discussioni tecniche”. L’imbarazzo è
legittimo: se i negoziati fossero confermati, il governo di Lukashenko – non riconosciuto e sottoposto dall’Ue a un regime
di sanzioni per violazione dei diritti umani – verrebbe elevato al rango di interlocutore diretto con i 27. Ad
alimentare la confusione, sono arrivate nel pomeriggio le dichiarazioni della portavoce di Minsk – tuttora non confermate da Berlino
– secondo cui Merkel avrebbe accettato di accogliere
2mila migranti in Germania, mentre la Bielorussia si farebbe carico di
rimpatriare i restanti 5mila. “In cambio Lukashenko vuole essere riconosciuto
come leader legittimo della Bielorussia e vuole che vengano cancellati i nomi
di alcune personalità a lui vicine dalla lista di sanzioni supplementari che la
Ue sta per approvare”: a denunciarlo è la ministra degli Esteri dell’Estonia, Eva-Maria Liimets, aggiungendo che
è importante che le sanzioni alla Bielorussia “rimangano in vigore” e che
l’intesa per nuove sanzioni da parte dell'Unione “sia varata al più presto”.
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L’ipotesi di un’apertura nei confronti di Lukashenko, accusato dall’Ue di usare i migranti come strumento di pressione contro l’Unione, ha sollevato l’irritazione di
diversi governi europei, primo fra tutti quello di Varsavia. “Ho detto
chiaramente al presidente della Germania che la Polonia non riconoscerà alcun
accordo preso sopra le nostre teste”, ha detto il presidente polacco Andrzej
Duda. Le guardie
di frontiera polacche nei giorni scorsi hanno
sparato gas lacrimogeni e aperto idranti contro le persone che, abbandonate a temperature glaciali ormai da settimane, hanno cercato
di attraversare il confine. “Ricordo inoltre che questa crisi, alimentata da
Minsk prima alla frontiera con la Lettonia e la Lituania e poi con quella
polacca è una provocazione contro i confini europei e della Nato” ha aggiunto
Duda. Due giorni fa anche i presidenti di Lettonia, Lituania ed Estonia avevano
esortato la Commissione europea a
rivedere la politica migratoria dell'Ue esprimendo il loro sostegno alla
Polonia. Nella dichiarazione congiunta, i leader delle
tre repubbliche baltiche invitavano Ursula von der Leyen non solo a proporre
“le modifiche necessarie al quadro giuridico dell'UE in materia di migrazione e
politica di asilo”, ma anche a fornire “un adeguato sostegno finanziario alla
costruzione di barriere fisiche e infrastrutture”.
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Migranti e gas come armi?
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È in
questo contesto di tensioni crescenti, che Minsk ha annunciato ieri la temporanea limitazione delle consegne di petrolio
alla Polonia
attraverso l'oleodotto Druzhba. L’oleodotto che trasporta ogni giorno 1,3 milioni di
barili di petrolio proveniente dalla Russia,
si sdoppia in Bielorussia e prosegue poi verso
l’Ucraina e la Polonia. Gomeltransneft,
l’operatore dell’oleodotto, ha affermato che sta effettuando una manutenzione non programmata e che
il lavoro non influenzerà gli obiettivi per le forniture mensili. Ma la sospensione
è coincisa con le minacce di Lukashenko
di chiudere le forniture di gas all'Europa, in rappresaglia per le nuove
sanzioni in vigore contro Minsk. Una mossa concordata con Mosca? Non è chiaro,
ma a complicare una partita che va ben oltre la questione umanitaria alla
frontiera europea, ed investe questioni strategiche e geopolitiche, arriva
anche la notizia che la Germania ha sospeso il processo di certificazione per Nord Stream
2. Il gasdotto è al centro di un’accesa
disputa tra paesi europei, poiché raddoppierebbe la dipendenza tedesca e
dell’intero continente dal gas russo. E diversi governi, che lo considerano uno
strumento di pressione del Cremlino sulla prima economia europea, ne chiedono
la demolizione. Che Berlino, a sua volta, abbia cercato di fare pressioni su Mosca
o meno, il risultato è che nella giornata di ieri il prezzo del gas sia schizzato oltre
i 100 euro per megawatt/ora.
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Se confermati, i colloqui
europei con il presidente Lukashenko sarebbero i primi dalla brutale repressione delle proteste seguite alle elezioni in Bielorussia del 2020. Ma
già adesso di fatto, Angela Merkel si è intrattenuta più volte con l’autocrate
bielorusso al potere da 27 anni e il suo portavoce, Stefan Seibert, ha chiarito
che i suoi incontri si sono svolti in "stretto coordinamento con la
Commissione europea” e dopo che “informazioni preliminari erano state condivise
con importanti partner nella regione”. Il tutto mentre alcuni media si
interrogano su chi abbia dato e quando
mandato alla cancelliera tedesca per trattare con Lukashenko a nome
dell’Unione. “Penso che sia stato un errore” ha detto invece chiaro e tondo Franak Viacorka, braccio destro della leader dell'opposizione
bielorussa in esilio, Svetlana Tsikhanouskaya, dopo che la cancelliera aveva
parlato per la prima volta con il presidente Lukashenko nei giorni scorsi. Un’opinione
condivisa da oppositori politici e attivisti (sono circa 80 quelli attualmente
in carcere a Minsk) che temono che se Lukashenko proponesse all’Europa, come ha
fatto la Turchia, di tenere i migranti lontano dai suoi confini, Bruxelles sarebbe disposta a dimenticare
non solo la sorte dei profughi ma anche quella degli attivisti per i diritti
umani e della democrazia nel paese.
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IL COMMENTO
di
Antonio Villafranca,
Direttore della Ricerca ISPI
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“Quella tra Polonia e
Bielorussia non è la prima crisi dei migranti ai confini dell'Ue e non
sarà l'ultima. Ma, se anche un accordo con la Bielorussia alla fine si dovesse
trovare, l'Unione non avrà imparato nulla. Le migrazioni rimangono un’arma per
i paesi appena fuori i confini europei. Ma anche uno strumento di pressione (o
di distrazione) per quelli dentro l'Ue che hanno conti aperti con Bruxelles
(come la Polonia). Finché l'Ue non si doterà di una vera politica migratoria
comune rimarrà ostaggio di chi non si fa scrupolo di usare i migranti come
mezzo di ricatto. Dentro o fuori l'Ue”.
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