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18 novembre 2021

BIELORUSSIA E MAL D’EUROPA

Sulla crisi dei migranti bloccati alla frontiera polacca Merkel chiama Lukashenko e filtra l’ipotesi di colloqui con la Bielorussia. Tra l’imbarazzo di Bruxelles e il ‘no’ di Varsavia.

   
   
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Prima con Putin poi, direttamente con Lukashenko: i colloqui avviati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel stanno portando ad un allentamento delle tensioni al confine tra Polonia e Bielorussia. Lo riferiscono fonti diverse secondo cui, nelle ultime ore, le autorità bielorusse hanno accolto centinaia dei circa 7mila migranti bloccati alla frontiera, in un edificio poco distante mente Ursula von der Leyen ha annunciato l'invio di aiuti umanitari per 700mila euro. Tutto risolto dunque? Non proprio. Secondo Minsk, le conversazioni delle ultime ore avrebbero fatto da viatico per l’apertura di colloqui diretti tra Minsk e l’Unione Europea; una notizia che ha colto di sorpresa molti leader europei e su cui Bruxelles si è affrettata a gettare acqua sul fuoco: si tratterebbe solo di “discussioni tecniche”. L’imbarazzo è legittimo: se i negoziati fossero confermati, il governo di Lukashenko – non riconosciuto e sottoposto dall’Ue a un regime di sanzioni per violazione dei diritti umani – verrebbe elevato al rango di interlocutore diretto con i 27. Ad alimentare la confusione, sono arrivate nel pomeriggio le dichiarazioni della portavoce di Minsk – tuttora non confermate da Berlino – secondo cui Merkel avrebbe accettato di accogliere 2mila migranti in Germania, mentre la Bielorussia si farebbe carico di rimpatriare i restanti 5mila. “In cambio Lukashenko vuole essere riconosciuto come leader legittimo della Bielorussia e vuole che vengano cancellati i nomi di alcune personalità a lui vicine dalla lista di sanzioni supplementari che la Ue sta per approvare”: a denunciarlo è la ministra degli Esteri dell’Estonia, Eva-Maria Liimets, aggiungendo che è importante che le sanzioni alla Bielorussia “rimangano in vigore” e che l’intesa per nuove sanzioni da parte dell'Unione “sia varata al più presto”.

Un’Unione di muri?

L’ipotesi di un’apertura nei confronti di Lukashenko, accusato dall’Ue di usare i migranti come strumento di pressione contro l’Unione, ha sollevato l’irritazione di diversi governi europei, primo fra tutti quello di Varsavia. “Ho detto chiaramente al presidente della Germania che la Polonia non riconoscerà alcun accordo preso sopra le nostre teste”, ha detto il presidente polacco Andrzej Duda. Le guardie di frontiera polacche nei giorni scorsi hanno sparato gas lacrimogeni e aperto idranti contro le persone che, abbandonate a temperature glaciali ormai da settimane, hanno cercato di attraversare il confine. “Ricordo inoltre che questa crisi, alimentata da Minsk prima alla frontiera con la Lettonia e la Lituania e poi con quella polacca è una provocazione contro i confini europei e della Nato” ha aggiunto Duda. Due giorni fa anche i presidenti di Lettonia, Lituania ed Estonia avevano esortato la Commissione europea a rivedere la politica migratoria dell'Ue esprimendo il loro sostegno alla Polonia. Nella dichiarazione congiunta, i leader delle tre repubbliche baltiche invitavano Ursula von der Leyen non solo a proporre “le modifiche necessarie al quadro giuridico dell'UE in materia di migrazione e politica di asilo”, ma anche a fornire “un adeguato sostegno finanziario alla costruzione di barriere fisiche e infrastrutture”.

Migranti e gas come armi?

È in questo contesto di tensioni crescenti, che Minsk ha annunciato ieri la temporanea limitazione delle consegne di petrolio alla Polonia attraverso l'oleodotto Druzhba. L’oleodotto che trasporta ogni giorno 1,3 milioni di barili di petrolio proveniente dalla Russia, si sdoppia in Bielorussia e prosegue poi verso l’Ucraina e la Polonia. Gomeltransneft, l’operatore dell’oleodotto, ha affermato che sta effettuando una manutenzione non programmata e che il lavoro non influenzerà gli obiettivi per le forniture mensili. Ma la sospensione è coincisa con le minacce di Lukashenko di chiudere le forniture di gas all'Europa, in rappresaglia per le nuove sanzioni in vigore contro Minsk. Una mossa concordata con Mosca? Non è chiaro, ma a complicare una partita che va ben oltre la questione umanitaria alla frontiera europea, ed investe questioni strategiche e geopolitiche, arriva anche la notizia che la Germania ha sospeso il processo di certificazione per Nord Stream 2. Il gasdotto è al centro di un’accesa disputa tra paesi europei, poiché raddoppierebbe la dipendenza tedesca e dell’intero continente dal gas russo. E diversi governi, che lo considerano uno strumento di pressione del Cremlino sulla prima economia europea, ne chiedono la demolizione. Che Berlino, a sua volta, abbia cercato di fare pressioni su Mosca o meno, il risultato è che nella giornata di ieri il prezzo del gas sia schizzato oltre i 100 euro per megawatt/ora.

L’Europa s’è flessa?

Se confermati, i colloqui europei con il presidente Lukashenko sarebbero i primi dalla brutale repressione delle proteste seguite alle elezioni in Bielorussia del 2020. Ma già adesso di fatto, Angela Merkel si è intrattenuta più volte con l’autocrate bielorusso al potere da 27 anni e il suo portavoce, Stefan Seibert, ha chiarito che i suoi incontri si sono svolti in "stretto coordinamento con la Commissione europea” e dopo che “informazioni preliminari erano state condivise con importanti partner nella regione”. Il tutto mentre alcuni media si interrogano su chi abbia dato e quando mandato alla cancelliera tedesca per trattare con Lukashenko a nome dell’Unione. “Penso che sia stato un errore” ha detto invece chiaro e tondo Franak Viacorka, braccio destro della leader dell'opposizione bielorussa in esilio, Svetlana Tsikhanouskaya, dopo che la cancelliera aveva parlato per la prima volta con il presidente Lukashenko nei giorni scorsi. Un’opinione condivisa da oppositori politici e attivisti (sono circa 80 quelli attualmente in carcere a Minsk) che temono che se Lukashenko proponesse all’Europa, come ha fatto la Turchia, di tenere i migranti lontano dai suoi confini, Bruxelles sarebbe disposta a dimenticare non solo la sorte dei profughi ma anche quella degli attivisti per i diritti umani e della democrazia nel paese.

   

IL COMMENTO

di Antonio Villafranca, Direttore della Ricerca ISPI

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“Quella tra Polonia e Bielorussia non è la prima crisi dei migranti ai confini dell'Ue e non sarà l'ultima. Ma, se anche un accordo con la Bielorussia alla fine si dovesse trovare, l'Unione non avrà imparato nulla. Le migrazioni rimangono un’arma per i paesi appena fuori i confini europei. Ma anche uno strumento di pressione (o di distrazione) per quelli dentro l'Ue che hanno conti aperti con Bruxelles (come la Polonia). Finché l'Ue non si doterà di una vera politica migratoria comune rimarrà ostaggio di chi non si fa scrupolo di usare i migranti come mezzo di ricatto. Dentro o fuori l'Ue”.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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